Che l'Italia fosse una zona altamente sensibile ai cambiamenti climatici, era gia' emerso da qualche anno; ma che le trasformazioni in atto potessero portare a una crisi acuta della produzione agricola emerge da un nuovo studio sviluppato da 65 Centri di ricerca di 20 Paesi europei e coordinato dal britannico Met Office (l'ufficio meteorologico nazionale del Regno Unito).
A questo studio, denominato 'Ensambles' hanno dato il loro contributo l'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), il Centro Euro Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC), il CNR e l'Universita' di Firenze, sviluppando in particolare il nono capitolo di un lungo rapporto dedicato all'impatto dei mutamenti climatici sull'agricoltura dei Paesi mediterranei.
Ma come si prospettano i cambiamenti climatici nella regione italiana nelle prossime decadi? ''In prima approssimazione - spiega il climatologo Silvio Gualdi, ricercatore della sede bolognese dell'INGV - l'Italia, stando alle proiezioni fornite da vari scenari e modelli, sara' caratterizzata da un clima generalmente piu' caldo e secco, particolarmente nella stagione estiva. Fenomeno questo che, su scala piu' ampia, interessera' anche la parte meridionale dell'Europa e del Mediterraneo''.
Secondo gli esperti di produzioni agricole questo cambiamento potrebbe rendere difficile la coltivazione del grano duro i cui rendimenti rischiano di diminuire gia' a partire dal 2020. Nel caso dovesse realizzarsi uno scenario con aumento delle temperature di oltre 2*C, la coltivazione di questo cereale sara' del tutto impossibile nel nostro Paese.
Al previsto aumento delle temperature medie e della siccita' estiva, entro la fine di questo secolo si accompagnera' una marcata diminuzione delle precipitazioni invernali sia sull'Italia che sul Mediterraneo meridionale, causata dallo spostamento verso settentrione delle aree di bassa pressione prevalenti su tutta l'area.
Secondo il climatologo Gualdi, questi scenari potrebbero essere mitigati nel caso che si realizzassero sostanziali riduzioni delle emissioni di gas serra sia da parte dei Paesi industrializzati che da quelli in rapido sviluppo.
Alla definizione di questi possibili scenari hanno contribuito i supercomputer dell'INGV che usano un modello atmosfera-oceano-ghiaccio marino sviluppato dal gruppo di climatologia dinamica dell'Istituto.
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