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giovedì 11 novembre 2010

Paraguay: La tribù che non si lascia scoprire


In Paraguay rivolta contro una spedizione del museo di Londra: "Le loro malattie ci uccideranno"


Gli indiani Ayoero dicono che non importa se questa è una spedizione scientifica. Tanto finirà come sempre. Finirà che molti di loro moriranno. Ma anche molti bianchi ci rimetteranno la pelle. Perciò proprio non ce la fanno a capire il senso di questa partita. Il nemico stavolta non è un proprietario terriero brasiliano e neppure qualche milionario di Asuncion. A costringerli a scrivere al presidente Fernando Lugo è il Museo di Storia Naturale di Londra che spinto dal sacro fuoco della conoscenza ha deciso di mandare una spedizione a esplorare le foreste sconosciute del Gran Chaco, nel nord del Paraguay, ai confini con la Bolivia e con l’Argentina. Cento uomini, un investimento da trecentomila sterline per un viaggio di un mese. L’obiettivo: catalogare centina di specie di piante e di insetti. Un mondo mai visto e mai registrato. «Servirà a difendere questo habitat così fragile», spiegano dalle stanze eleganti di Cromwell road. «Sarà un genocidio», replicano i capi tribù. E saranno le malattie a fare una strage. Forse sono vere entrambe le cose.

Benno Glauser, responsabile di Iniciativa Amotocoide, associazione che difende gli indigeni, intervistato dal Guardian sostiene che «esiste una evidente minaccia per la vita degli scienziati e di ogni singolo uomo che partecipierà all’impresa». Un folto gruppo di antropologi si è schierato al suo fianco. Il Gran Chaco è un posto diverso da tutti gli altri. Straordinariamente bello e pericoloso. Fino a pochi anni fa gli indiani che ci vivevano erano cinquemila. Adesso la maggior parte di loro è stata costretta ad andarsene, a radunarsi in una riserva vicino alla città di Filadelfia. Bulldozer, missionari fondamentalisti decisi a convertirli e cacciatori di legno e di terra li hanno messi in fuga, finché nel 2005 l’Unesco ha dichiarato la zona riserva di biosfera. Non è bastato per fermare lo scempio, ma in qualche modo l’ha circoscritto. Tra le pieghe di questo massacro circa centocinquanta persone, divise in sei tribù, sono riuscite a nascondere il proprio mondo all’interno della foresta. Ayoero anche loro. Esseri umani che non hanno mai avuto un contatto con gli occidentali. E che non lo vogliono avere. Vivono mangiando maiale selvatico e grandi tartarughe.

I leader tribali rifugiati a Filadelfia dicono che queste regioni appartengono a chi le abita. E nella lettera al presidente Lugo hanno scritto che con la spedizione «si corrono troppi rischi. Le persone della foresta muoiono frequentemente per avere contratto malattie per le quali non hanno gli anticorpi. I bianchi lasciano vestiti, spazzatura, tracce di ogni tipo. E’ una questione molto seria. La possibilità di un genocidio è assolutamente reale».

Agli Ayoero mancano gli anticorpi dei bianchi e ai bianchi mancano gli anticorpi degli Ayoero. La contaminazione è potenzialmente esplosiva. «Se questa spedizione andasse avanti qualcuno ci dovrebbe spiegare perché gli scienziati inglesi solo per studiare nuove piante e nuovi animali sono disposti a perdere delle vite umane».

Jonathan Mazower, portavoce di Survival International, aggiunge che «i contatti con i gruppi isolati sono invariabilmente violenti. Qualche volta fatali e spesso disastrosi». Poi chiama il suo amico Esoi, che un tempo viveva nella foresta. Gli fa raccontare una storia. «Era la fine degli Anni Novanta, ho sentito gli alberi cadere e ho visto un mostro che mangiava tutto. Ho chiamato i miei. Lo abbiamo attaccato con le lance. Ma la sua pelle era troppo dura. Siamo scappati. Adesso sappiamo che si chiamava bulldozer». Vive a Filadelfia, dove ha preso uno strano acne che gli rovina la pelle. Si aggiusta in continuazione i pantaloni. Si sente a disagio con questi vestiti.

fonte:http://www3.lastampa.it/ambiente/sezioni/ambiente/articolo/lstp/374453/

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