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giovedì 21 agosto 2008

Scorie di guerra fredda

L'OMBRA DEL NUCLEARE

Scorie di guerra fredda


homas Carpenter non voleva credere ai suoi occhi. Le analisi di quei campioni di acqua, limpida eppure sporca, gli stavano dicendo non solo che il Tom e il Romashka sono i fiumi di gran lunga più contaminati da radioattività di tutte le Russie e del mondo intero. Non solo che in quei due fiumi l'intensità delle radiazioni raggiunge livelli superiori a quella contenuta negli scarichi di 10.000 centrali nucleari civili. Ma che, finora, nessuno ha provveduto almeno ad avvisare la popolazione e a interdirle l'accesso alle acque di gran lunga più sporche del pianeta.

E' chiaro che a scaricare nel Tom e nel Romashka, nei pressi della cittadina di Seversk, non sono (solo) i due reattori civili superstiti di quello che è stato il più grande complesso nucleare del mondo: il "Sibkhimkombinat" (Complesso Chimico Siberiano). A scaricare nei due fiumi c'è qualcun altro, con una capacità inquinante infinitamente più grande. Qualcuno che è e vuole rimanere segreto.

Carpenter è il direttore, a Seattle, del Government Accountability Project (GAP), un gruppo di ecologisti statunitensi impegnati nella lotta all'inquinamento nucleare. I campioni prelevati nei fiumi Tom e Romashka, in Siberia, li ha raccolti lo scorso mese di agosto, insieme ad alcuni esponenti degli Scienziati siberiani per la responsabilità globale, nei pressi della città di Tomsk, in luoghi accessibili a tutti, dove la gente va a pescare e gli animali a pascolare. I campioni sono stati analizzati in laboratori specializzati in Russia, in Canada e negli Stati Uniti. E tutti hanno misurato il medesimo livello di inquinamento radioattivo. Mille e più volte superiore del livello massimo consentito nelle acque potabili degli Stati Uniti.

Il complesso nucleare più grande del mondo
Thomas Carpenter ha reso pubblica la sua denuncia lo scorso mese di novembre. La autorità di Tomsk hanno immediatamente e seccamente smentito, definendo "assolutamente assurda" la notizia. Il GAP ha invece ribadito la scoperta, definendo "fuori da ogni razionale controllo" il problema nucleare a Tomsk e ha invocato l'intervento urgente dell'AIEA, l'Agenzia internazionale dell'energia atomica, che da Vienna cerca di regolare, per conto delle Nazioni unite, l'utilizzo delle tecnologie nucleari nel mondo.

La denuncia e l'appello del Government Accountability Project sono stati raccolti e rilanciati dal Bulletin of the Atomic Scientist, la rivista dei fisici nucleari fondata nel 1945, all'indomani di Hiroshima, da Albert Einstein e Leo Szilard. E ripropongono la questione del "controllo razionale" delle scorie nucleari. Delle scorie della guerra fredda. Scorie di origine militare, disseminate nell'ambiente, nel più grande segreto e con la più grande superficialità. Scorie sul cui impatto sanitario ed ecologico si conosce poco, quasi nulla. Per cercare di dare una dimensione alla questione, si deve ripercorrere la storia del "Sibkhimkombinat". Seversk è una città della Siberia, appollaiata sul fiume Tom, 15 chilometri a Nordest di Tomsk. Oggi conta 107.000 abitanti. Fino al 1992 Seversk non esisteva. Non sulle carte geografiche, almeno. Era una delle città segrete dell'Unione Sovietica. Classificata con una sigla, Tomsk-7, e accessibile al resto dei cittadini sovietici solo attraverso una casella postale. Il motivo è che Seversk era stata scelta, già dal 1949, per ospitare il più grande complesso nucleare del mondo. Quello che ha realizzato la gran parte delle decine di migliaia di testate nucleari montate su missili (45.000 delle quali dispiegate solo nel 1986) che hanno fatto dell'Unione Sovietica, insieme agli Stati Uniti, una superpotenza atomica. Il "Sibkhimkombinat", collocato 15 chilometri a Ovest della città, era stato inaugurato nel 1954. A regime poteva contare su cinque reattori nucleari militari, un impianto di separazione chimica, uno per il riprocessamento dell'uranio e del plutonio, un impianto di arricchimento dell'uranio e, infine, un sistema di stoccaggio dei rifiuti nucleari. A Seversk oggi funziona un solo reattore militare (è lui il responsabile del carico inquinante equivalente a 10.000 reattori civili che avvelena il Tom e il Romanska?). Nel complesso lavorano ancora 15.000 persone. E, in 50 diversi siti, trovano ospitalità scorie radioattive liquide e solide per un totale stimato in circa 40 milioni di metri cubi. I rifiuti solidi, per un totale di 127.000 metri cubi, sono conservati in un bunker nel sottosuolo, in contenitori con pareti spesse 1,5 metri.

Fino al 1982 i rifiuti liquidi venivano scaricati in due pozzi, B1 e B2, che coprono un'area di 75.000 metri quadrati. I due pozzi non erano - e non sono - chiusi in alcun modo. In una ventina di anni vi sono stati scaricati in totale 280.000 metri cubi di liquidi contenenti isotopi radioattivi a lunga vita per un totale stimato di 4,6 milioni di TBq (miliardi di bequerel). Gli animali che si aggirano nei dintorni, è cosa nota da tempo, sono tutti contaminati. Dal 1982 i rifiuti liquidi radioattivi vengono depositati in pozzi più attrezzati. In particolare i rifiuti a basso livello di radioattività vengono pompati in strati di sabbia posti tra 240 e 290 metri nel sottosuolo; mentre quelli ad alto livello di radioattività vengono depositati in strati di sabbia collocati a una profondità di 310-340 metri. Questi siti ospitano qualcosa come 36 milioni di metri cubi di liquidi radioattivi, per un totale stimato di 40 milioni di TBq. Solo per fare un paragone, l'intero ammontare dei rifiuti radioattivi in Italia non supera i 25.000 metri cubi. Per quello che se ne sa, il "Sibkhimkombinat" ha subìto, nel corso della sua storia, 23 incidenti. Il più grave si è verificato il 6 aprile del 1993: un'esplosione ha rilasciato nell'ambiente 4,3 TBq. Il fall-out della nube radioattiva è giunto a 120 chilometri di distanza.

Tuttavia non sono gli incidenti, il grande problema di Seversk. Sono i 40 milioni di metri cubi di rifiuti nucleari. E' un dilemma la loro gestione provvisoria. Che, come testimoniano vecchie indagine e i nuovi rilievi del GAP, è piuttosto lacunosa. Ed è un'incognita la loro collocazione definitiva. Nessuno a Seversk sa come contenere la diffusione nell'ambiente delle scorie nucleari. Nessuno sa quale sarà il loro destino futuro. Nessuno sa, in tutta la Russia, qual è la quantità delle scorie nucleari disseminate nell'ambiente in 40 anni di guerra fredda. E nessuno sa come minimizzare i rischi e riparare i danni prodotti dalle scorie della guerra fredda. Ma, anche ammesso che qualcuno sapesse cosa e come fare, nessuno in Russia ha i quattrini per mettere mano a un'opera che ha dimensioni semplicemente enormi.

Rifiuti di là dell'oceano
Per avere un'idea di massima della enormità del "controllo razionale" delle scorie della guerra fredda in Russia si può tentare un paragone con il problema dei rifiuti nucleari nell'altra grande superpotenza nucleare, gli Stati Uniti d'America. Anche qui, come hanno riconosciuto una serie di sentenze in tribunale e, poi, lo stesso governo federale, la gestione dei rifiuti radioattivi prodotti dalla corsa agli armamenti è stata piuttosto allegra. Per decenni nessuno (nessun civile, almeno) ha controllato dove e come questi rifiuti venissero collocati. Tutto è sempre stato in mano ai militari. E nel corso della guerra fredda nessuno, in USA come in URSS, si sognava di chiedere conto ai militari delle loro azioni. Così per decenni milioni di metri cubi di inquinanti radioattivi sono stati semplicemente pompati e sepolti nel sottosuolo, contaminando miliardi di metri cubi di suolo. In USA come in URSS, sono stati questi i campi di battaglia dove si è combattuta la guerra fredda.

Negli USA l'eredità delle scorie della guerra fredda ricade sulle spalle del Dipartimento dell'energia (DOE). Il dipartimento che sovrintende ai settori strategici della superpotenza statunitense: l'energia, la scienza e la produzione di armamenti nucleari. Ebbene, da almeno un decennio il DOE considera la gestione, provvisoria e definitiva, delle scorie nucleari il suo compito più importante. Nel solo anno 2000, infatti, per la gestione provvisoria dei rifiuti nucleari e dei loro effetti, il dipartimento ha speso 6,4 miliardi di dollari (più di 13.000 miliardi di lire): 300 milioni di dollari in più di quanto lo stesso DOE ha speso per la sicurezza nazionale (produzione di armi nucleari). E mezzo miliardo di dollari in più di quanto l'EPA (l'Environment Protection Agency) ha speso per affrontare tutte le altre questioni ambientali degli Stati Uniti.

Ma non basta. Per tentare di dare una collocazione definitiva alle scorie nucleari, che in tutti gli Stati Uniti occupano un volume di 37 milioni di metri cubi (un po' meno, peraltro, di quelli che in Russia si trovano nella sola Seversk), e per cercare di decontaminare le aree dove in questo momento i rifiuti nucleari di origine militare si trovano, da una decina di anni il DOE ha messo in cantiere il più grande e costoso progetto, probabilmente, mai elaborato dall'uomo. Per risolvere questione delle scorie nucleari il DOE pensa di impiegare da 70 a 100 anni e conta di spendere da 200 a 1.000 miliardi di dollari (da 400.000 a due milioni di miliardi di lire).

Per grandi linee, il programma prevede:
a) decontaminare le aree inquinate (le principali sono dieci);
b) raccogliere il materiale radioattivo più pericoloso, disperso in svariati siti (vedi cartina) e di trasportarlo in due grandi depositi sotterranei per la sistemazione definitiva: uno, probabilmente nel New Mexico, destinato ad accogliere i rifiuti transuranici (contaminati, essenzialmente, da plutonio) a basso e medio livello di radioattività; l'altro, probabilmente nella Yucca Mountain del Nevada, destinato ad accogliere i rifiuti di livello radioattivo più elevato.

Il progetto deve risolvere altre questioni: decontaminare aree vastissime. Solo a Hanford, nello Stato di Washington, l'area infiltrata da decenni di scarichi di materiale radioattivo è vasta (almeno) 1450 chilometri quadrati (la metà della Valle d'Aosta); trovare una collocazione sicura per milioni di metri cubi di rifiuti meno pericolosi e con isotopi radioattivi a vita media relativamente breve; trovare un sistema che consenta il trasporto sicuro delle scorie più pericolose da tutti gli Stati Uniti verso il New Mexico e il Nevada; trovare una sistemazione sicura per isotopi radioattivi con una vita media dell'ordine delle decine di migliaia di anni. Per nessuno di questi obiettivi c'è una soluzione anche solo vagamente definitiva. Attualmente il dibattito sul sito della Yucca Mountain è ancora aperto. Dal 26 marzo del 1999, dieci anni dopo il progetto, è, invece, diventato operativo nel New Mexico il Waste Isolation Pilot Plant, l'impianto pilota per l'isolamento dei rifiuti transuranici a media e bassa intensità radioattiva. L'impianto, capace di accogliere 175.600 metri cubi di rifiuti transuranici, non è certo a regime. Per ora accoglie rifiuti misti. Solo da gennaio del 2002 inizierà ad accogliere carichi regolari di rifiuti transuranici provenienti da 10 diversi siti. E solo nell'ottobre del 2002 andrà a regime e sarà in grado di accogliere 17 carichi a settimana. Se tutto andrà bene, l'intero trasferimento dei transuranici potrà essere completato prima del 2034. La messa in sicurezza del deposito richiederà ancora cinque anni, e sarà completata nel 2039. Solo tra più di un secolo, nel 2134, cesseranno, infine, i controlli attivi e il contribuente cesserà di pagare uno dei tanti conti aperti della guerra fredda. Ancora più complicate e, probabilmente, più lunghe e onerose saranno, infatti, sia la sistemazione dei rifiuti che gli esperti statunitensi classificano a un livello "greater than class C", superiori alla classe C, nella Yucca Mountain o altrove, sia la decontaminazione delle aree oggi inquinate.

Previsioni incerte e strategie da inventare
Il rischio che non tutto vada liscio e che, malgrado 200 o 1.000 miliardi di investimenti, le scorie nucleari continuino a minacciare il territorio statunitense anche fra cento e più anni non è affatto remoto. Lo dimostra una relazione della maggioranza repubblicana presentata alla competente Commissione commercio del Senato degli Stati Uniti. Secondo il report, la gran parte dei 3,4 miliardi di dollari spesi dal DOE, negli ultimi 11 anni, per mettere a punto circa mille nuove tecnologie di decontaminazione da rifiuti nucleari non hanno prodotto alcun risultato utile. Per esempio, sono state messe a punto 80 diverse tecnologie per ripulire o almeno stabilizzare 177 contenitori di rifiuti radioattivi particolarmente a rischio che si trovano a Hanford e, in pratica, nessuna di queste tecniche si è dimostrata davvero utile.

Il DOE smentisce la catastrofica relazione dei senatori repubblicani. Ma non più di tanto. Carolyn Huntoon, rappresentante del DOE, sostiene che almeno una tecnica su cinque tra quelle finanziate e messe a punto si è dimostrata utile (quattro su cinque sono risultate, dunque, davvero inutili) e che in 180 hanno trovato un'applicazione commerciale.

Resta il fatto che il più grande progetto mai finanziato dall'uomo sta partendo, anzi è partito, con tecnologie che ancora non sono state messe a punto. Gioco forza i tempi di realizzazione, i costi e, in definitiva, l'esito stesso del progetto secolare sono in discussione. E questo in un paese, gli Stati Uniti, che non difettano né di fondi, né di capacità tecnologica, né di organizzazione, né di determinazione. Cosa accadrà in un paese che, come la Russia, difetta di tutte queste componenti? La sensazione è che non sarà facile liberarsi dell'eredità della guerra fredda. E delle sue velenose scorie

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