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lunedì 20 settembre 2010

tonno rosso rischio estinzione : Sayonara, non tonno più. Il pesce principe decimato dai maniaci del sushi


Hirofumi Hamahata racconta che una volta «i banchi di tonni coloravano d'argento il mare» al largo di Oma, e lui ne pescava — con filo di plastica e amo — anche 10 al giorno. Erano cinquanta anni fa. Oggi, in questo sperduto villaggio giapponese sulla punta più settentrionale dell'Honshu, le 60 barche della cooperativa di Hamahata tornano in porto alla sera con mezza dozzina di maguro in totale. Il rinomato tonno di Oma — registrato con il marchio "black diamond" — è sempre più raro. Purtroppo, non solo lì. nei mari di tutto il mondo, decenni di pesca su scala industriale hanno decimato le riserve del "re dei pesci".

L'over-fishing non riguarda solo il bluefin tuna, la cui squisita carne di un rosso violaceo finisce nei sushi e sashimi più pregiati. Dalla convinzione ottocentesca che il pesce fosse inesauribile, siamo passati a un calo annuo di 500mila tonnellate di pescato dal 1990: i ritmi di pesca attuali non consentono la riproduzione necessaria al mantenimento di molte specie. Per il tonno, oceanografi e ambientalisti parlano ormai del rischio di estinzione. "Siamo ben oltre il punto in cui avremmo dovuto smettere di pescarlo", spiega il professor Callum Roberts, dell'università di York, secondo cui per ogni 50 tonni presenti nell'oceano atlantico negli anni quaranta, oggi ce n'è rimasto solo uno. Una quantità sufficiente per dare "un ultimo pezzo di sushi" a 43 milioni di persone, scrive Paul Greenberg nel suo libro Four Fish.

Ma gli organi internazionali che regolamentano la pesca non sembrano condividere le stesse preoccupazioni. le quote fissate dall'Iccat, la commissione responsabile della conservazione del tonno atlantico, sono appena state ridotte del 40 per cento; per anni, però, l'ente aveva stabilito limiti quasi doppi (e mai rispettati) rispetto alle raccomandazioni degli scienziati, guadagnandosi il soprannome International conspiracy to catch all tuna. E l'ipotesi di una moratoria mondiale è stata scartata lo scorso marzo dal Cites, la convenzione dell'Onu che ha il potere di inserire le specie a rischio nelle categorie protette: solo 20 i voti a favore, contro 68 contrari e 30 astenuti.

In Giappone, la notizia è stata materiale da prima pagina. Il Sol levante consuma l'80 per cento del bluefin mondiale e considera la tenera carne del maguro parte imprescindibile della propria cultura. In realtà, si tratta di un'abitudine recente. Fino a metà Ottocento il sushi di tonno non esisteva: quel pesce andava a male prima degli altri. Il consumo crebbe su scala locale fino alla seconda guerra mondiale. L'esplosione si ebbe dopo, quando il Giappone sfiancato dal conflitto faceva cassa con le esportazioni di tonno in scatola. Era più che altro yellowfin tuna, la carne grassa del bluefin non veniva considerata. ma i gusti cambiarono, e negli anni settanta il consumo diventò di massa; l'otoro, il filetto rosa che rappresenta la parte più gustosa, divenne una prelibatezza.

A Tsukiji, il mercato di Tokyo dove passa tutto il maguro che arriva in Giappone, all'alba i grossisti ispezionano le carcasse congelate e se le contendono all'asta, sotto gli occhi dei turisti. Al profano, dimensioni a parte, sembrano tutte uguali. Ma l'esperto riconosce le differenze. La reputazione di un ristorante di sushi deriva dalla qualità del suo tonno. I migliori non badano a spese: lo scorso gennaio, un bluefin di 232 chili è stato venduto a 16,28 milioni di yen (148mila euro).

Il governo giapponese crede che la situazione sia risolvibile all'interno dello status quo. E gli stessi grossisti di Tsukiji sono più preoccupati dal calo delle vendite. «È lunedì, dovrebbe essere pieno e invece sono senza clienti», si lamenta un rivenditore dietro un bancone che espone tonni provenienti da Boston, Città del capo, Australia. Contrariamente a quanto si pensa, nell'arcipelago il consumo di pesce è in calo da anni. Ciò non gli impedisce di far razzia su scala mondiale: «Il 95 per cento del tonno pescato nel Mediterraneo — rivela Helga Josupeit, della divisione ittica della Fao — finisce in Giappone». È la crescente moda del sushi in altri Paesi, in particolare in una Cina dove la classe media lo trova sempre più alla portata, ad allarmare in prospettiva futura.

Negli ultimi anni, si è sviluppata una fiorente industria del tuna ranching: solo nel Mediterraneo, gli allevamenti di tonno sono oltre 70. Ma a livello di sostenibilità è quasi peggio: i tonni vengono pescati da piccoli e ingrassati in cattività. Dal mare sparisce così la stessa quantità di pesce, spesso in età talmente giovane da non essere ancora in grado di riprodursi. Senza contare il problema della voracità dei tonni, conseguenza delle particolari caratteristiche di un animale ammirato per la sua struttura.

Il tonno è come un'auto di grossa cilindrata, capace di velocità elevate (fino a 70 km/h) nonostante un peso che in media si aggira sui 200 chili (il record è 872). Le sue branchie assorbono meno ossigeno quando rallenta, obbligandolo a girare forsennatamente. Ed è un pesce di sangue caldo: può quindi mantenere la stessa temperatura corporea dalle acque tropicali a quelle artiche. Tutte proprietà ad alto consumo di energia. Ecco perché un tonno in allevamento, per ogni chilo di peso messo su, deve mangiare fino a 15 chili di cibo (per il salmone, il tasso di conversione è di 1:1). Anche se recenti miglioramenti stanno limando all'ingiù questo dato, in sostanza i tonni da itticoltura vengono sfamati con quantità industriali di altri pesci (come sgombri e sardine). Abbondanti ora, ma di questo ritmo — avvertono gli scienziati — non a lungo. Molti esperti storcono il naso di fronte al tonno allevato. «Puzza di mangime, se lo assaggi dopo quello vero ti viene da vomitare», dice lo chef del ristorante Hamazushi, sul porticciolo di Oma. Esagerazione motivata dall'orgoglio, forse. Ma a Tsukiji i grossisti ripetono commenti simili, pur ammettendo che per un palato non affinato la differenza è impercettibile. La carne del tonno allevato è più grassa, perché nelle cisterne gli animali si muovono meno. Ma visti gli alti prezzi del vero maguro, non tutti fanno gli schizzinosi di fronte a un risparmio in media attorno al 50 per cento.

Il sacro graal dell'itticoltura è stato per anni il tonno sviluppato da uova deposte in allevamento. Nel 2004, i laboratori della Kinki University di Osaka vendettero i primi "tonni kindai", nati e cresciuti nelle sue enormi vasche al largo di Kushimoto, nel Giappone sud-orientale. L'anno scorso, insieme a un'azienda australiana, sono riusciti per la prima volta a "fabbricare" tonni in vivai al chiuso: per Time è stata «la seconda migliore invenzione del 2009». Ma è un business che richiede un'attenzione costante: solo tra il 2 e il 6 per cento delle uova kindai sopravvivono. Pur così maestosi, i tonni sono straordinariamente sensibili a luci e rumori: i piccoli vanno facilmente in panico, scontrandosi o impigliandosi nelle reti.

Tutte limitazioni che impediscono allevamenti estesi.I laboratori Kinki producono 40 tonnellate di tonno all'anno e non progettano di allargarsi. A Tokyo c'è un solo punto vendita, il resto viene esportato negli Usa, per clienti che credono così di contribuire alla salvezza del maguro. Meglio che svuotare i mari, certo. «Ma il tonno allevato neanche scalfisce il problema. Può solo rappresentare un prodotto d'alta gamma per consumatori facoltosi, un po' come il caviale», avverte il professor Roberts.

Quanto al signor Hamahata, lui crede che l'unica soluzione sia vietare la pesca con le reti. Da anni lotta per questa causa, incolpando le navi giapponesi, cinesi e russe che si portano via tonnellate su tonnellate di maguro. Non tutti rispettano il tonno come questo vecchio uomo di mare, che si illumina raccontando come da giovane ingaggiò una lotta alla Hemingway con un tonno di 300 chili. Lo lasciò andare dopo 12 ore, tagliando il filo: «Si era meritato di vivere», sorride, spiegando che quel duello gli fece vedere il re dei pesci sotto un'altra luce. Se il mondo farà presto lo stesso anche con gli altri bluefin, forse c'è ancora speranza. altrimenti, il "diamante nero" potrebbe non essere per sempre.
fonte : http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2010-09-14/sayonara-tonno-145503.shtml?uuid=AYLvSsPC

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