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giovedì 2 settembre 2010

AMBIENTE: IN Groenlandia, trivelle in azione, il Polo è un pozzo di greggio MA sono altissimi i rischi per l'ambiente


Da una settimana una società inglese ha avviato le perforazioni nelle acque dell'Artico. Un'area che conserva il 13% delle riserve di oro nero rimaste sulla Terra. Ma il clima dell'estremo nord del pianeta rende difficili le operazioni. E sono altissimi i rischi per l'ambiente

LA ricerca dell'oro nero in tutti gli oceani del pianeta non smette di guardare avanti. Nonostante le paure e le problematiche che si sono aperte dopo quanto avvenuto durante l'esplorazione petrolifera in mare aperto nel Golfo del Messico. Da una settimana, come riferisce il New Scientist, sono le fredde acque artiche in prossimità della Groenlandia ad essere oggetto di trivellazione ad opera della società inglese Cairn Energy.

Il mondo intero guarda alle acque che circondano il Polo Nord come nuova meta per lo sfruttamento petrolifero e minerario. Dalle ricerche fin qui condotte, nell'area risulta esserci circa il 13% delle riserve di petrolio rimaste sulla Terra e circa il 30% di quelle di gas. L'incidente della Deepwater Horizon ha fermato momentaneamente le attività nelle acque americane, canadesi e norvegesi ma non in quelle groenlandesi e russe dove continuano la ricerca e le prime perforazioni. Tuttavia è proprio di poche settimane fa la notizia che americani e canadesi sono partiti con una nave oceanografica per importanti rilievi. "Con questa spedizione vogliamo definire con precisione quali sono i confini geologici dei nostri territori, quelli cioè che il trattato internazionale dei mari permette di considerare propri e quindi di esplorarli e sfruttarli", ha spiegato Brian Edwards del Servizio Geologico americano. La Russia aveva preceduto tale spedizione con una propria nave e due anni fa aveva mandato fin sul fondo del Polo Nord un sommergibile dove piantò la propria bandiera.

Estrarre petrolio nelle aree artiche è una sfida contro la natura che ha pochi confronti, sia che avvenga in mare che sulla terraferma. Gli uomini addetti ai lavori, qualunque attività eseguano, devono fare fronte ai movimenti del pack, agli iceberg, alle temperature estremamente fredde, alle tempeste e alle condizioni estreme quando scende la notte artica che dura circa 6 mesi.

Per questi motivi le compagnie petrolifere al momento stanno esplorando le aree marine più vicine alle coste e le più accessibili e, quando è possibile, cercano di costruire piccole isole artificiali da collegare alla terraferma così da trasformare un'esplorazione off-shore (in mare aperto) in una su terra. Quando non è possibile si costruiscono gigantesche strutture in acciaio che vengono ancorate sul fondo marino. La piattaforma russa Prirazlomnoye, ad esempio, quasi completamente costruita su un campo petrolifero dove si prevede la presenza di 610 milioni di barili e che si trova al nord della Russia, peserà 100.000 tonnellate e si trova su un mare profondo 20 metri. In questo caso sarà la sua gigantesca massa a proteggerla dal ghiaccio che la assedierà per otto mesi l'anno.


Quando bisognerà andare ancor più al largo le piattaforme saranno costantemente protette da rompighiaccio. La prima di queste sarà anch'essa russa e verrà costruita a 650 km dalle coste con un mare profondo 300 m e costantemente circondata dai ghiacci. Essa inizierà ad operare nel 2016.

Tutte le compagnie petrolifere insistono nel sostenere che le piattaforme saranno a prova di ogni evento estremo. Ma nonostante questo, molti gruppi ambientalisti fanno presente che il pericolo non viene solo dalle piattaforme ma anche dalle navi che dovranno fare la spola con esse per rifornirsi di olio. Il pack, gli iceberg e le tempeste renderanno inevitabili gli incidenti e in acque fredde una fuoriuscita di petrolio potrebbe creare danni realmente irreversibili all'ambiente. In quel mondo infatti, una fuoriuscita di greggio può essere contenuta solo in estate, ma le acque molto fredde rendono l'olio molto più stabile che non in quelle calde. Per la natura è assai più difficile eliminarlo e, come si è visto in Messico, l'uomo riesce a fare ben poco.
FONTE: repubblica.it

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