Dopo le dichiarazioni della Mantovani sulla sua presunta guarigione grazie al metodo Zamboni, i necessari chiarimenti
«A sei mesi dall'operazione mi ritengo guarita dalla sclerosi multipla». Nicoletta Mantovani, vedova di Luciano Pavarotti e malata da tempo, lo ha dichiarato qualche giorno fa in un'intervista al settimanale Gente e da allora il tam tam fra i pazienti è cresciuto a dismisura: tutti, di nuovo, si chiedono se la soluzione per questa malattia sia davvero risolvere l'insufficienza venosa cerebrospinale cronica (CCSVI) come hanno suggerito gli studi di Paolo Zamboni, chirurgo vascolare dell'Università di Ferrara.
CCSVI - Il chirurgo, ormai una decina di anni fa, ha osservato che i malati di sclerosi multipla avrebbero più spesso dei sani restringimenti od occlusioni delle vene che drenano il sangue dal cervello (azygos e giugulari) e che ciò contribuirebbe alla patologia. Da qui la proposta di risolvere il problema con un intervento di "liberazione" delle vene interessate, proprio quello a cui si è sottoposta Nicoletta Mantovani. Nel mondo scientifico, però, ancora si discute (animatamente) sull'esistenza o meno di una correlazione fra CCSVI e sclerosi multipla: stando ai dati della ricerca italiana COSMO, il più ampio studio osservazionale e multicentrico con lettura degli esami dei pazienti in doppio cieco sinora effettuato, «il 97 per cento dei pazienti con sclerosi multipla non ha la CCSVI - spiega Mario Alberto Battaglia, presidente della Fondazione Italiana Sclerosi Multipla, che ha finanziato la ricerca con 1,5 milioni di euro -. Nel rimanente 3 per cento dei pazienti la CCSVI si riscontra in percentuali del tutto analoghe a quelle rilevate nei pazienti con altre malattie neurologiche e persino nelle persone sane arruolate come controlli: non sono state evidenziate differenze né per le diverse forme di sclerosi multipla, né per fattori di rischio come l'età o il sesso». Zamboni tuttavia ha criticato i risultati dello studio COSMO, ritenendo che vi fossero "pecche" nel metodo e prosegue con le sue indagini attraverso lo studio "Brave Dreams", con il quale intende valutare la presenza della CCSVI nei pazienti utilizzando ecodoppler e flebografia e soprattutto capire se l'intervento di liberazione abbia o meno effetti positivi.
GUARIGIONE - Perché il problema è tutto qui: se da un lato il chirurgo ferrarese, pur convinto della bontà della sua teoria, ha sempre richiamato alla necessità di sottoporsi alla procedura di liberazione solo nell'ambito delle sperimentazioni (di fatto l'intervento è da ritenersi tuttora sperimentale), dall'altro sull'onda delle speranze dei pazienti è fiorito un numero non irrilevante di strutture dove ci si può operare. E usare la parola "guarigione" come si è fatto in questi giorni può spingere tanti a provare. Ma allora, dalla sclerosi multipla si può guarire o no? «La cura risolutiva per la sclerosi multipla, in qualsiasi sua forma, ancora non esiste – risponde Battaglia –. Si tratta di una malattia multifattoriale complessa, da affrontare a 360 gradi perché ogni forma di sclerosi multipla è un caso a sé, con un decorso differente da persona a persona. Ve ne sono quattro tipi (a ricadute e remissioni, secondariamente progressiva, primariamente progressiva e progressiva con ricadute) a cui si aggiunge una quinta, la sclerosi multipla benigna, che non peggiora nel tempo ed esordisce in genere con uno, due episodi acuti che non lasciano disabilità. Questa forma, che secondo alcune stime riguarda il 20-30 per cento dei pazienti con diagnosi clinica, può essere individuata anche quando è presente una minima disabilità per 15 anni dalla data di esordio: pure in questo caso tuttavia non si può parlare di guarigione. E bisogna ricordare che le forme a ricadute e remissioni possono avere lunghi intervalli, perfino oltre i dieci anni, tra un attacco e il successivo».
INTERVENTO - Se di guarigione quindi non si può mai parlare, restano pure i dubbi connessi alla procedura di liberazione: oltre a essere sperimentale non è esente da rischi. Poco tempo fa due pazienti hanno intentato una causa legale nei confronti di medici dell'Università di Stanford, negli Stati Uniti, perché danneggiati dall'inserimento di stent per riaprire le vene con CCSVI e non adeguatamente informati dei rischi che avrebbero corso sottoponendosi all'intervento. E proprio a Stanford dopo il decesso di una paziente le procedure sono state sospese. Lo stesso Zamboni ha sempre richiamato alla cautela, perché usare gli stent non è consigliabile, visto che non ne esistono di davvero adeguati per l'intervento su vene (di solito si usano per l'angioplastica di arterie coronarie). Resta il fatto che tanti continuano ad affollare le liste di attesa per operarsi. «I dati dello studio COSMO dimostrano che la CCSVI non è una patologia legata alla sclerosi multipla: non c’è alcun motivo che possa indurre a curare la CCSVI per curare la sclerosi multipla - ribadisce Battaglia -. Non è una questione di costi sanitari, anche se è discutibile quanto accaduto con l’offerta di interventi a pagamento nel privato; piuttosto è un’azione di tutela nei confronti della persona e della sua salute».
FONTE: http://www.corriere.it/salute/12_novembre_13/sclerosi-multipla-zamboni-guarire_e00153a8-2d7a-11e2-9fd6-1d698914d372.shtml
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