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lunedì 25 gennaio 2010
petrolio: LE NORMATIVE ITALIANE FANNO SCHIFO
Intervista Maria Rita D'Orsogna dell'università di Los Angeles è un'esperta di inquinamento da idrocarburi: «Negli Usa le piattaforme devono essere a 160 chilometri dalla costa. In Italia nessun limite. Troppe differenze anche per le emissioni»
Maria Rita D'Orsogna è una della massime esperte di inquinamento da idrocarburi. Abruzzese di nascita è autrice di numerose pubblicazioni scientifiche sull'argomento. Insegna all'University northridge mathematics department di Los Angeles, in California.
In Abruzzo partiranno le trivelle?
Esiste una legge, approvata il 15 dicembre 2009, che vieta le estrazioni petrolifere sul suolo della regione. Però è incompleta, aperta a interpretazioni e possibilità di raggiro.
Giusto per fare un esempio invece di parlare dell'estrazione di idrocarburi liquidi e gassosi fa riferimento agli oli combustibili. Un derivato industriale che non può essere estratto. Evidentemente chi l'ha scritta non aveva le idee ben chiare. Deve essere migliorata perché difende la terraferma ma non il mare e non include valutazioni ambientali stringenti come la Vis: quella di impatto sanitario.
Negli Stati Uniti è diverso?
Basta fare qualche esempio. Ad eccezione dei mari antistanti il Texas, negli Usa da una trentina d'anni è vietato mettere nuove piattaforme a meno di 160 chilometri dalla riva, lungo la costa sia pacifica che atlantica.
In Italia invece non c'è nessun limite: è possibile installarle anche a 4 o 5 chilometri dalla costa. La conseguenza è che si parla di trivellare le isole Tremiti, Pantelleria, Chioggia e tutto il litorale adriatico, non ha importanza se dentro o fuori riserve di pesca, aree protette o parchi marini. Nessuna persona sana di mente si metterebbe a trivellare qui negli Stati Uniti a cinque chilometri da una città.
E per l'ambiente?
In California esiste una legge (la Prop 65) che obbliga chi inquina a informare i cittadini delle sostanze tossiche che rilascia con la propria attività.
Il 24 novembre 2009 il Los Angeles Times ha pubblicato un comunicato a firma di tutte le ditte interessate (fra cui Exxon-Mobil, British Petroleum, CHevron) in cui si ammetteva che le attività petrolifere di qualsiasi genere sono collegate alla comparsa di tumori, malformazioni e altri danni riproduttivi. Non mi risulta che l'Eni abbia fanno nulla di simile per informare la popolazione della Basilicata.
Le differenze sulle emissioni?
Negli Usa i limiti sono molto più bassi rispetto all'Italia. Ad esempio per l'H2S, l'idrogeno solforato, il limite in Massachusetts è di 0,00065 ppm. In Italia è quasi 30 per l'industria petrolifera. In più le multe qui sono punitive, cioè maggiori rispetto ai danni causati, per scoraggiare i reati ambientali.
La Exxon-Mobil lo scorso agosto ha preso una multa di 600mila dollari per aver causato la morte di 85 uccelli in cinque stati diversi: 8.000 dollari a volatile. In più la società rimarrà sotto osservazione per tre anni. E così ha speso 2,5 milioni di dollari per installare misure pro uccelli.
Come hanno lavorato le istituzioni in Abruzzo?
La classe dirigente è troppo lontana dal popolo. Faccio solo un esempio. Il sindaco di Ortona, Nicola Fratino, luogo in cui nascerà il centro oli dell'Eni (14 canne fumarie), è in pieno conflitto di interessi. Beneficerà dell'aumento del traffico navale legato alle piattaforme con la sua ditta, la Fratino com, che gestisce la attività portuali della città. Un'altra società di cui è socio (Buonefra), ha ricevuto negli ultimi anni circa 1,1 milioni di euro dall'Eni.
Però l'energia ci serve?
Il petrolio italiano, lucano, abruzzese o pugliese che sia, è di qualità scadente, ricco di impurità solfuree, in profondità e difficile da estrarre. Siamo un Paese densamente abitato, a sismicità elevata e con i fondali dei mari molto bassi.
L'Eni stessa, in mia presenza, ha definito il petrolio italiano «il fondo del barile».
fONTE: www.verdi.it
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