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venerdì 20 agosto 2010

INQUINAMENTO MARI : PATTUMIERA RIFIUTI PLASTICA IN ATLANTICO


Siamo sommersi di plastica e i nostri rifiuti stanno ''affogando'' gli oceani, prima il Pacifico, poi l'Atlantico, ecco che, spedizione dopo spedizione, gli scienziati rintracciano nuove discariche di plastica fluttuanti, prodotte dall'insensatezza dell'uomo. Stavolta i rifiuti sono stati 'pescati' nell'Oceano Atlantico del Nord: uno studio pubblicato sulla rivista Science durato 22 anni, infatti, ha contato qualcosa come 64.000 pezzi di plastica raccolti annualmente nel corso dello studio, in 6100 stazioni di campionamento. Le concentrazioni piu' elevate di plastica sono state trovate in una regione posta a 32 gradi Nord di latitudine, in pratica all'altezza di Atlanta, in Georgia, e si estendono dai 22 ai 38 gradi Nord di latitudine. Lo studio e' stato condotto dal gruppo Sea Education Association (SEA), Woods Hole Oceanographic Institution (WHOI) e della University of Hawaii, coordinato da Kara Lavender Law che attraverso simulazioni della circolazione delle acque oceaniche ha anche decifrato l''enigma' dietro la formazione di queste isole: e' un problema di correnti che fanno convergere i rifiuti tutti in una zona ristretta. Ma non tutto e' chiaro agli scienziati, infatti, in 22 anni (dal 1986 al 2008) il contenuto di questa enorme pattumiera fluttuante nell'Atlantico del Nord non e' aumentato in modo significativo, nonostante sia cresciuto invece lo smaltimento di plastica, che quindi forse si trova chissa' dove in altri ''lidi'', oppure e' affondata nelle profondita' oceaniche. Gli esperti si sono mossi per anni nell'Atlentico del Nord e nel Mar dei Caraibi usando delle reti fittissime per raccogliere i rifiuti, e gia' all'inizio di quest'anno avevano cominciato a divulgare dati del loro studio pluriennale. Alcune anticipazioni sono state date dalla stessa Lavender Law nel corso dell'Ocean Science Meeting di Portland, tenutosi lo scorso febbraio. In quell'occasione i ricercatori dissero che la densita' massima di plastica riscontrata e' di 200 mila frammenti per chilometro quadrato, pari cioe' alla densita' riscontrata nel Pacifico centrale, ovvero nella 'grande pattumiera' tra California e Hawaii, una discarica fluttuante di dimensioni pari a due volte il Texas. Sulle pagine di Science, ora, i ricercatori forniscono ulteriori dettagli parlando di una zona all'altezza di Atlanta come della parte piu' 'infestata' dalla plastica. Secondo i loro calcoli al computer la plastica si concentra in quei punti per effetto di correnti oceaniche convergenti. Ma non e' tutto, di fatto i conti non tornano, perche' i ricercatori hanno visto che i depositi di plastica non sono cresciuti molto nel tempo, eppure noi abbiamo usato negli ultimi decenni sempre piu' plastica. Dov'e' finita dunque quella non trovata nelle pattumiere oceaniche? Le ipotesi avanzate sono molte: o semplicemente e' li' negli oceani ma resta 'invisibile' perche' ridotta in frammenti troppo piccoli per essere raccolti dalle reti; oppure e' affondata o ancora e' diventata 'pappa' per gli abitanti di quei luoghi. In ogni caso non c'e' da star troppo tranquilli, tanto piu' che uno studio recente, di Katsuhiko Saido dell'universita' Nihon a Chiba, ha dimostrato che la plastica, lungi dall'essere indistruttibile, si decompone in mare aperto per esposizione alle intemperie e lo fa velocemente rilasciando numerosi composti tossici, che sono assorbiti dagli 'inquilini oceanici', mettendo a rischio la loro vita e la capacita' riproduttiva.
FONTE: aNSA

Le stesse caratteristiche che rendono la plastica adatta a così tante applicazioni industriali, la sua resistenza e la sua stabilità, rappresentano un problema per gli ecosistemi marini. Ogni anno vengono prodotte quasi dieci milioni di tonnellate di plastica, il 10 per cento delle quali finisce in mare. Il 20 per cento di questa plastica viene gettata dalle imbarcazioni e dalle piattaforme, mentre il resto arriva dalla terraferma.

Basta fare una passeggiata lungo una spiaggia in una qualsiasi parte del mondo per trovare a riva una quantità incredibile di buste, bottiglie e contenitori di plastica, pezzi di polistirolo, frammenti di rete e di copertoni che il vento e le maree trasportano a riva.

I rifiuti che invadono le nostre spiagge sono i segni più evidenti di un problema di più ampia portata. Questi prodotti, infatti, non si decompongono come accade ai materiali naturali. Il mare, il moto ondoso, il sole e l'abrasione meccanica riducono la plastica in minuscoli frammenti: ogni singola bottiglia di plastica può essere ridotta in così tanti piccoli pezzi da poterne mettere uno per ogni miglio di costa nel mondo. I rifiuti di plastica tendono inoltre ad accumularsi in quelle aree di mare dove i venti e le correnti sono deboli.

Una chiazza di rifiuti

Le correnti circolari del Pacifico del Nord subtropicale coprono un'ampia area, all'interno della quale l'acqua ruota lentamente in senso orario, avvolgendosi in una lenta spirale. I venti sono deboli. Le correnti tendono a sospingere qualsiasi materiale galleggiante verso il centro del vortice. Ci sono poche spiagge su cui approdare in quell'area, e così i rifiuti stazionano al centro della spirale con una tale concentrazione che ci sono sei chili di plastica per ogni chilo di plankton: un'area estesa quanto il Texas piena di rifiuti, che ruota lentamente su se stessa. Questa zona è stata chiamata anche il "vortice di plastica" o la "pattumiera asiatica".

Potrebbe anche non sembrare un problema così grave, ma non è così. Purtroppo, i pezzi di plastica più grandi vengono spesso ingeriti da uccelli marini e da altri animali, che li scambiano per prede. Molti uccelli marini sono stati trovati morti con un tappo di plastica nello stomaco. Una tartaruga trovata morta alle Hawaii aveva migliaia di piccoli pezzi di plastica nello stomaco e nell'intestino. Si stima che ogni anno più di un milione di uccelli marini, centomila esemplari di mammiferi e moltissime tartarughe vengano uccisi dall'ingestione di plastica.

Bombe chimiche

I rifiuti di plastica sono inoltre delle vere e proprie bombe chimiche: assorbono molti dei più pericolosi agenti chimici inquinanti che si trovano disciolti nell'oceano. Un animale che mangia per sbaglio questi frammenti di plastica si trova quindi ad essere esposto ai composti chimici pericolosi concentrati su ogni frammento.

Il vortice del Pacifico del Nord è solo uno dei cinque maggiori vortici oceanici, ed è possibile che questo problema sia quindi presente anche in altre zone. Il Mar dei Sargassi, nell'Atlantico, è famoso per le sue correnti blande e alcune ricerche hanno evidenziato un'alta concentrazione di particelle di plastica nell'acqua.

Autostoppisti oceanici

La plastica galleggiante può turbare l'equilibrio dei sistemi marini anche in un modo molto singolare. I piccoli pezzi di plastica possono infatti fungere da superfici pronte ad essere colonizzate da vari microrganismi. Queste piante e questi animali vengono poi trasportati dalle correnti in habitat diversi da quelli originali. In questo modo questi "autostoppisti dell'oceano" invadono altri habitat.

Ovviamente, non tutta la plastica galleggia. Al contrario, il 70 per cento della plastica è più pesante dell'acqua e si adagia sui fondali. Nel Mare del Nord alcuni scienziati tedeschi hanno contato 110 pezzi di rifiuti per chilometro quadrato di fondale: 600mila tonnellate di rifiuti solo nel Mare del Nord. Questi rifiuti possono soffocare i fondali e uccidere le forme di vita che li abitano.

Il problema dei rifiuti di plastica è uno di quelli che deve essere affrontato con maggiore urgenza. Ciascuno di noi può fare la sua parte, cercando di evitare l'acquisto di prodotti che contengano parti in plastica e gestendo i propri rifiuti in maniera responsabile. D'altra parte, occorre sensibilizzare i proprietari di barche, i gestori delle piattaforme e chi lavora nel settore della pesca sulle conseguenze ambientali che ha l'abitudine irresponsabile di gettare oggetti di plastica in mare.

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