Due ricerche pubblicate dalla rivista Nature Geoscience dipingono scenari inquietanti per il futuro a medio e lungo termine. A causa del riscaldamento del pianeta, entro fine secolo potrebbero scomparire il 75% dei ghiacciai alpini e il 70% di quelli neozelandesi. Ma il persistere delle emissioni nell'atmosfera porterebbe entro il 3000 alla fusione dell'Antartide occidentale e all'innalzamento del mare di 4 metri
I cambiamenti climatici potrebbero determinare entro il 2100 lo scioglimento di tre quarti dei ghiacciai alpini e, in una previsione ancor più drammatica, la dissoluzione di buona parte dell'Antartico entro il 3000. Con la conseguenza di un innalzamento del livello del mare di ben 4 metri. E' lo scenario davvero inquetante dipinto da due ricerche pubblicate dalla rivista Nature Geoscience, che mettono in risalto due degli aspetti meno noti della mutazione climatica: i suoi effetti sui ghiacciai e il suo impatto a lungo termine.
Il primo studio, ad opera delle geofisiche Valentina Radic e Regine Hock dell'Università dell'Alaska, stima che i ghiacciai si apprestano a perdere tra il 15 e il 27 per cento del loro volume entro il 2100. Cosa che, ammonisce la ricerca, "potrebbe avere effetti sostanziali sull'idrologia regionale e la disponibilità di risorse in acqua". Alcune aree saranno più a rischio di altre, in funzione dell'altezza dei loro ghiacciai, della natura del terreno e della loro localizzazione, più o meno sensibile al riscaldamento del pianeta. In base a queste variabili, i più a rischio sono i ghiacciai alpini: potrebbe sciogliersene in media il 75 per cento (tra il 60 e il 90 per cento), a seguire quelli della Nuova Zelanda con un rischio medio del 72 per cento (tra il 65 e il 79 per cento).
Per contro, in base al primo studio, il rischio è limitato all'8 per cento dei ghiacciai in Groenlandia e al 10 per quelli asiatici. Secondo questa ricerca, lo scioglimento dei ghiacciai si tradurrebbe in un elevarsi medio del livello del mare, da qui a fine secolo, di 12 centimetri. La stima, che non prende in considerazione l'espansione degli oceani a seguito del riscaldamento dell'acqua, si sposa ampiamente con l'ultimo rapporto stilato nel 2007 dal Giec, il gruppo intergovernativo di esperti messo in piedi dall'Onu per studiare l'evoluzione del clima.
Radic e Hock hanno realizzato i loro calcoli a partire da un modello informatico basato su dati raccolti su oltre 300 ghiacciai tra il 1961 e il 2004. E si sono poggiate sul primo degli scenari intermedi immaginati dal Giec (denominato "A1B"), che coniuga crescita demografica, economica e ricorso a fonti d'energia più o meno inquinanti, e che prevede un aumento della temperatura del pianeta di 2,8 gradi nel corso del 21mo secolo. Ma lo scenario "A1B" non prende in considerazione le calotte ghiacciate dell'Antartico e della Groenlandia, che da sole raccolgono il 99 per cento dell'acqua dolce del pianeta. Se una di queste due aree dovesse sciogliersi sensibilmente, il livello degli oceani aumenterebbe di molti metri, sommergendo molte città costiere. Immaginando la fusione dell'Antartico occidentale, l'aumento del livello del mare sarebbe di 4 metri.
Esattamente lo scenario catastrofico che emerge dal secondo studio pubblicato da Nature Geoscience, realizzato dall'Università di Calgary, in Canada. Una ricerca focalizzata sull'inerzia dei gas a effetto serra che, una volta emessi, resistono per secoli nell'atmosfera. Con la conseguenza che, se anche si potessero fermare tutte le emissioni di gas a effetto serra da qui al 2100, il riscaldamento del pianeta proseguirebbe ancora per altre centinaia di anni. Lo studio dell'università canadese si basa sullo scenario "A2" del Giec, più pessimista del "A1B" in materia di emissioni e che arriva a prevedere un aumento della temperatura di 3,4 gradi centigradi da qui a fine secolo.
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