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martedì 22 marzo 2011

CENTRALI NUCLEARI IN ITALIA : L'atomo e i costi troppo alti, non conviene

Il nucleare, questo nucleare, non convince per diversi motivi. Innanzitutto non sono escludibili eventi catastrofici a causa di fattori esterni o di errori umani. Si spera nella quarta generazione che, verso il 2030, dovrebbe portare a reattori intrinsecamente sicuri. C'è poi una valutazione economica, in quanto i costi tendono costantemente ad aumentare. Nell'ultima valutazione del Dipartimento dell'Energia Usa (Energy Outlook 2010) sugli impianti da costruire nei prossimi due decenni, l'elettricità da nucleare risulta la più cara. È il motivo per cui negli Stati Uniti sono previsti dei meccanismi di incentivazione per le nuove centrali, altro che riduzione della bolletta... Infine pesa una considerazione etica. A quasi cinquant'anni dalla prima centrale, non esiste un solo Paese al mondo che abbia realizzato un deposito definitivo per le scorie altamente radioattive. Per tutti gli oggetti che noi conosciamo - un frigorifero, un'automobile, una bottiglia - è prevista la chiusura del ciclo. Per i rifiuti nucleari, la cui pericolosità ha tempi di dimezzamento di decine di migliaia di anni, non abbiamo ancora trovato una soluzione, lasciando in questo modo alle generazioni future un velenoso regalo.

I fautori di questa tecnologia sostengono che però consente di ridurre i consumi di combustibili fossili e le emissioni dei gas serra. Vero, ma è possibile ottenere lo stesso risultato in modo più efficace e meno rischioso. Le fonti rinnovabili, considerate marginali fino a poco tempo fa, stanno crescendo a ritmi imprevedibili e i loro costi si stanno rapidamente riducendo. L'elettricità producibile dagli impianti solari ed eolici installati nel mondo tra il 2005 e il 2010 è tre volte maggiore rispetto a quella dei reattori nucleari entrati in servizio negli stessi anni. La metà della potenza elettrica installata in Europa lo scorso decennio è rinnovabile. E l'accelerazione della crescita è formidabile. La potenza fotovoltaica globale installata nel 2010 è, ad esempio, aumentata del 120% rispetto all'anno prima.

Grazie al contesto energetico così drasticamente mutato, la riflessione internazionale che seguirà all'incidente di Fukushima avrà un decorso diverso rispetto all'impatto che si ebbe dopo Chernobyl. Allora l'effetto fu quello di bloccare la crescita del nucleare senza innescare però una vera alternativa. Le fonti rinnovabili erano all'inizio del loro sviluppo e non rappresentavano un'opzione credibile, anche se le esperienze californiane, danesi, giapponesi già facevano intuire le enormi potenzialità di queste tecnologie. La potenza eolica oggi è cento volte superiore, quella solare addirittura mille volte più ampia. E i costi sono scesi drasticamente.

Tutto ciò fa ritenere che altri Paesi seguiranno la strada della Germania che aveva deciso, già prima dell'incidente giapponese, di uscire dal nucleare puntando a soddisfare nel 2050 almeno l'80% della richiesta elettrica con le rinnovabili. Una strategia lungimirante che negli ultimi anni ha consentito di raddoppiare l'elettricità verde grazie a un milione di impianti solari, eolici, a biomassa e di creare un comparto che conta 340.000 addetti, un pilastro ormai dell'economia tedesca.
Dunque, le riflessioni dopo la tragedia giapponese possono portare ad un drastico ripensamento delle strategie energetiche con un rilancio delle politiche dell'efficienza energetica e dell'utilizzo delle rinnovabili. Una strada fortemente innovativa che garantisce maggiore sicurezza energetica, riduce i rischi di cambiamenti climatici, crea imprese ed occupazione. L'Italia, che ultimamente ha ottenuto risultati interessanti nelle rinnovabili, farebbe bene a seguire questa strada.

fonte: Gianni Silvestrini http://www.corriere.it/cronache/11_marzo_17/l-Atomo-ha-Costi-Sempre-piu-Alti-non-Conviene_0723cd38-5070-11e0-9bca-0ee66c45c808.shtml

sabato 8 maggio 2010

energie rinnovabili : Rinnovabili in cerca di risorse ....


Sfruttando il 5% dell'energia che il Sole manda sulla Terra in un anno si potrebbe soddisfare il fabbisogno del pianeta.

Servono investimenti per 600 milioni nell'arco dei prossimi tre anni. Soldi utili a far diventare l'Italia uno dei protagonisti europei del mercato energetico. Almeno dal punto di vista dell'innovazione. È questo l'appello lanciato ieri a Roma dall'Airi (Associazione italiana per la ricerca industriale) durante il convegno "Giornata Airi per l'innovazione industriale" svoltosi all'Enea.

La situazione reale è diversa. Oggi la stima è di circa 350 milioni di investimenti. «I 600 milioni – dice Renato Ugo, presidente dell'Airi – sono una necessità tecnica perché come noto in Italia il prezzo dell'energia è alto, acquistando dall'estero materie prime che come nel caso del gas o del petrolio si stanno esaurendo. C'è bisogno di sostenere la ricerca su fonti alternative».
L'associazione, però, non chiede che questi soldi arrivino solo dal pubblico, ma occorre un meccanismo virtuoso che porti i privati a coprire il 60-70% degli investimenti. Denaro che serve non solo per la ricerca ma anche per lo sviluppo e l'industrializzazione di quanto realizzato nei laboratori italiani.

Nel corso del convegno di ieri diverse realtà hanno mostrato alcune delle loro ricerche di punta. L'Eni – che si è aggiudicato il premio per l'innovazione Oscar Masi 2009 – ha fatto vedere come sia possibile aumentare l'efficienza delle celle solari fotovoltaiche al silicio. Ci riesce grazie a un sistema che si basa su materiali fluorescenti che permettono di recuperare parte delle radiazioni solari al di fuori dell'intervallo spettrale ottimale per il silicio, trasformandole in radiazioni utilizzabili dallo stesso silicio. Ma non è l'unica ricerca su cui si sta concentrando la società. Che sta pensando anche a celle solari polimeriche con diversi vantaggi: flessibilità, più alta efficienza, dimensioni e costi di produzione inferiori.

Enel sta puntando sull'eolico e sull'energia dal mare. Nel primo caso si stanno sviluppando pale intelligenti che grazie a dei sensori sono in grado di modificare il loro profilo aerodinamico in base al cambiamento delle condizioni ambientali. Il mare, invece, può essere "sfruttato" in diversi modi: generando elettricità dal movimento delle maree oppure trasformando in energia la differenza di concentrazione di sale o della temperatura dell'acqua a diverse profondità.
In generale, comunque, non c'è bisogno di trovare nuove fonti rinnovabili per ridurre le emissioni di CO2. «Occorre lavorare per rendere più efficienti i sistemi che già ci sono attraverso un'accelerazione tecnologica», dice Carlo Manna, responsabile dell'Ufficio Studi dell'Enea. Una strategia simile può ridurre l'impatto ambientale del nostro paese che rispetto al resto d'Europa non è indietro sul fronte delle rinnovabili: siamo in media con il 16,8% della generazione elettrica proveniente da fonti alternative. «Ci differenzia dall'Europa la mancanza del nucleare che da noi raddoppia il ricorso al gas (48,4% contro il 21,6 europeo)». Ma, continua Manna, «anche il nucleare non può che essere un passo intermedio. Nel lungo periodo l'unica strada percorribile è nelle rinnovabili». Sfruttando il 5% dell'energia che il Sole manda sulla Terra in un anno si potrebbe soddisfare il fabbisogno del pianeta.
fonte: ilsole24ore

sabato 26 settembre 2009

Fotovoltaico: l'analisi e lo studio di fattibilità li paga la banca

Non è una battuta ma un esempio da seguire. Facile a parole sostenere un futuro più sostenibile diverso incentivare i propri clienti ad inquinare meno e diventare partner dell'ambiente. L'esempio vene dalla Lombardia. La Banca di Credito Cooperativo di Busto Garolfo e Buguggiate, dopo l'esempio del "Mutuo Verde", totalmente rivolto agli investimenti in energie sostenibili, ha lanciato Energy, un finanziamento a tasso agevolato per incentivare l'uso dell'energia pulita sia per i privati che per le aziende. Il mutuo finanzia fino all'intero costo del progetto e delle spese tecniche. Energy è destinato a coloro che vogliono installare un impianto fotovoltaico, impianto che può essere collegato alla rete pubblica. Per i privati l'importo finanziabile va da un minimo di 5mila euro a un massimo di 30mila, per le imprese da un minimo di 10mila euro fino ad arrivare a 750mila. La durata del finanziamento varia da un minimo di 24 mesi a un massimo di 180 per i privati.
"Noi della Bcc di Busto Garolfo e Buguggiate - spiega Luca Barni, direttore generale dell'istituto di credito - siamo convinti che la qualità della vita del nostro territorio dipende anche dalle scelte che facciamo a difesa dell'ambiente. Per questo nasce mutuo Energy che offre a imprese e privati un pacchetto chiavi in mano per dotarsi di una fonte di produzione di energia pulita e conveniente. L'industria fotovoltaica è impegnata a offrire tecnologia e prodotti sempre migliori, come banca noi vogliamo fare la nostra parte e abbiamo deciso di pagare a chi accede ai nostri finanziamenti l'analisi e lo studio di fattibilità per installare i pannelli fotovoltaici che permettono di produrre energia pulita. Parlando da un punto di vista prettamente economico, il solare è un ottimo investimento. Si tratta da una parte di un fattore determinante per la competitività delle nostre imprese, che possono così avere a disposizione energia a costi contenuti, dall'altra di un sicuro risparmio sul bilancio familiare dei privati". L'energia del sole, è notizia di questi giorni, è stata adottata dalla Cina, dove è stata progettata la costruzione del più grande impianto fotovoltaico del mondo, ed è arrivata anche nello stato del Vaticano, dove sono stati installati 2.700 pannelli per climatizzare ed illuminare la Sala delle Udienze. In Italia si contano circa 39mila impianti e da poco è stata superata la soglia di produzione di 500 megawatt l'anno, e si continua a crescere soprattutto grazie ai privati. Si stima che a fine 2010 si possa arrivare a 2mila megawatt l'anno. Il 25% degli impianti è concentrato in Lombardia ed in Puglia, dove è già in vigore l'iter autorizzativi semplificato, che prevede, tra l'altro, che non deve essere richiesta nessuna autorizzazione se il luogo dove verrà posizionato l'impianto ad energia solare è esente da vincoli per la tutela dell'ambiente, del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, a meno che non siano in vigore dei vincoli locali.
fonte: ilgiornale

mercoledì 16 settembre 2009

CO2: TRASPORTO SU GOMMA ANCORA OGGI CAUSA 19% EMISSIONI CO2


Nel 2008 i produttori auto hanno ridotto le emissioni di CO2 dei modelli complessivamente venduti sul mercato europeo del 3,3%, portando la media di settore a 153,5 gCO2/km: un miglioramento notevole rispetto agli anni precedenti, secondo il Rapporto ''Reducing CO2 Emissions from New Cars: A Study of Major Car Manufacturers'' pubblicato oggi da Transport and Environment (T&E) di cui Amici della Terra e Legambiente sono partner italiani.

Ancora oggi pero' il trasporto su gomma contribuisce al 19% del totale della CO2 emessa in Europa e rispetto al 1990, anno di riferimento per la riduzione di emissioni prevista dal protocollo di Kyoto, le emissioni provenienti da questo settore sono aumentate del 28%. Un dato che dimostra come la strada sia ancora lunga, nonostante l'impegno di alcune case automobilistiche che hanno raggiunto importanti risultati in linea con quanto previsto dalla recente direttiva comunitaria, che ha fissato nuovi obiettivi settoriali al 2015 (130 gCO2/km) e al 2020 (95 g).

Al primo posto della classifica dei produttori, stilata in base ai risultati del rapporto di T&E c'e' il gruppo Fiat (138 grammi per chilometro) e al secondo posto troviamo PSA Peugeot-Citroen (139 g/km): i due gruppi sono gli unici ad aver rispettato l'obiettivo dell'accordo volontario del 1998 (140 g/km entro il 2008), recentemente superato dall'entrata in vigore del nuovo Regolamento per la riduzione della CO2 delle auto. Ma risultati importanti di riduzione sono stati ottenuti anche dai gruppi che partivano da posizioni piu' inefficienti sotto il profilo dei consumi di carburante che hanno generalmente realizzato notevoli miglioramenti nell'ultimo anno: BMW (-10,2%, ora a 154 g), Mazda (-8,2%, 158 g) e Hyundai (-7,6%, 161 g), che rimangono pero' su valori ancora elevati di emissioni. Meno reattivi i produttori di fascia media, con miglioramento limitato a circa il 2% (Toyota, Honda, GM).

''Sebbene la strada da percorrere sia ancora lunga - ha dichiarato il responsabile scientifico di Legambiente Stefano Ciafani - i dati confermano come la riduzione delle emissioni di CO2 sia un obiettivo comune delle case automobilistiche europee, grazie al nuovo regolamento. Ma non bisogna dimenticare l'influenza che in questo settore hanno avuto l'aumento del prezzo del petrolio tra 2007 e 2008, e la crisi finanziaria, che hanno spinto verso l'economicita' e l'efficienza. Direzione gia' intrapresa da Fiat e PSA Peugeot, rispettivamente al primo e secondo posto nella classifica, che dimostrano come combinando la performance ambientale e la spinta innovativa, sia possibile vincere la doppia sfida: climatica ed economica''.

domenica 13 settembre 2009

EFFETTO SERRA: ORA I VINCITORI DOMANI I PERDENTI. IN Groenlandia RILANCIO ECONOMICO MA IL CLIMA è AL COLLASSO

All’inizio del secolo scorso, quando Otto Frederiksen provava e riprovava a piantare semi nella terra brinosa di Qassiarsuk, un piccolo villaggio nel sud della Groenlandia, gli abitanti lo guardavano come un povero pazzo. Oggi, tra le casette rosse, azzurre e verdi con il tetto spiovente dove vivono una settantina di persone, sono spuntati broccoli, carote e zucchine. «Ci stiamo avvicinando alle condizioni climatiche dell'Europa settentrionale», ripete il figlio ultraottantenne Erik Rode Frederiksen, chiamato così in onore del leggendario Erik il Rosso, il Cristoforo Colombo vichingo che nel 986 approdò tra questi fiordi ancora vergini e li trovò verdissimi. I suoi discendenti scomparvero 300 anni dopo, vittime della glaciazione che avrebbe inghiottito l'84 per cento della Groenlandia ibernandolo fino ai nostri giorni. Il cerchio della storia si chiude: il surriscaldamento del pianeta, che avrà effetti catastrofici sull’umanità, regala ora agli uomini dei ghiacci il beneficio mai conosciuto della primavera.

«Alterazioni relativamente ridotte della temperatura possono in una prima fase risultare positive, soprattutto nelle zone estremamente fredde», spiega Bob Ward del Grantham Research Insitute on Climate Change della London School of Economics. Ieri mattina due navi commerciali del gruppo tedesco Beluga hanno annunciato d’aver attraversato con successo il mare Artico, il leggendario passaggio a Nord-ovest vagheggiato dagli inglesi sin da 1553, quando il condottiero di Sua Maestà Richard Chancellor si arenò tra gli iceberg e fu costretto a marciare a piedi nella tundra fino alla corte moscovita di Ivan il Terribile. Con la distesa di ghiaccio che fino a una decina d’anni fa bloccava la strada ai naviganti, l’impresa sarebbe stata impossibile.

«I cambiamenti climatici non sono un male per tutti, ci sono sempre vincitori e perdenti«, osserva Alessandro Farruggia coautore con Vincenzo Ferrara del volume «Clima: istruzioni per l’uso» (Edizioni ambiente). Nella cittadina di Ilulissat, 4500 persone e 5000 cani da slitta all’ombra del Srmeq Kujalleq, il più grande ghiacciaio del mondo al di fuori dell’Antartide, sulla costa nordoccidentale della Groenlandia, i fiordi sgombri come mai prima d’ora si sono riempiti di turisti. «Li portiamo in barca con noi tra gli iceberg«, racconta il pescatore Karl Thumassen. Nel porto, incorniciato dalle abitazioni rosse e dal cimitero bianco affacciato sulla baia di Disko, ristorantini con i tavoli di legno servono prosciutto di foca e carne di tricheco. E pazienza se non durerà in eterno. Anche gli Inca, concordano i paleo-ecologi, non si sarebbero imposti come la più grandiosa civiltà precolombiana senza l’impennata della temperatura che nel 1100 alterò l’ecosistema andino per oltre 400 anni. Dopo secoli d’astinenza i groenlandesi si godono il loro posto al sole.

«I raccolti sono migliori, è vero, il sud del paese sembra rinato», dice al telefono il trentaseienne Mininnguaq Kleist, ex responsabile dell’ufficio d’autogoverno della Groenlandia annullatosi quest’estate dopo l’approvazione danese del referendum per l’autonomia. Oggi Mininnguaq, che gli amici chiamano Minik, si occupa di rapporti con l’Europa al dipartimento affari esteri, a pochi passi dal suo appartamento nel cuore trendy della capitale Nuuk. Anche qui, dove vivono un quarto dei 57 mila abitanti del paese, la terra ha cominciato a fruttare. «Coltiviamo patate, roba che 15 anni fa sarebbe sembrata una barzelletta», ammette lo scienziato Minik Rosign. Certo, parecchi sono tagliati fuori: difficile immaginare la primavera del remoto paesino di Kullorsuaq, 400 anime al centro di un’isoletta nel profondo nord, dove i medici fanno visita una volta al mese. «Il surriscaldamento penalizza l’entroterra dove le lastre di ghiaccio si assottigliano e i cacciatori non riesco a guidare le slitte come un tempo», continua Mininnguaq. Le aree polari sono coperte da permafrost, terreno ghiacciato con dentro carbonio, muschio, torba, metano, che, liquefatto, è impraticabile. Quelli che possono hanno cominciato a spostarsi nei villaggi di Narsarsuaq, Qaqortoq, Kangersuatsiaq, per dedicarsi alla pastorizia e offrire bed&breakfast ai turisti meno sofisticati.

La Groenlandia ha i suoi tempi. Il ghiaccio che sfrangia i fiordi si scioglie meno rapidamente rispetto al mare artico, dove ha uno spessore massimo di 15 metri. Secondo l’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), il comitato scientifico delle Nazioni Unite incaricato dell’effetto serra, ci vorrebbero diverse centinaia di anni, forse un migliaio, prima di scongelarla completamente. Magari non succederà mai. Intanto però il presente è strategico, anche perché anticipa l’accesso ai ricchissimi giacimenti di gas e petrolio finora assolutamente blindati.

«Stiamo lavorando molto bene, l’estrazione dello zinco è stata notevolmente agevolata dall’innalzamento della temperatura», ci spiega Nick Hall, amministratore delegato della Angus&Ross, la società britannica proprietaria della miniera di zinco Black Angel, una tra le più promettenti risorse nazionali insieme all’alluminio e al greggio della costa orientale su cui sventolano già le insegne della Chevron, della Exxon, della canadese Husky Energy. Scoperta negli anni trenta e scavata tra il 1973 e il 1990, la Black Angel, uno dei maggiori giacimenti del pianeta, è stata finora protetta da una parete invalicabile di ghiaccio. La Angus&Ross l’ha acquistata nel 2003, mentre i prezzi dello zinco schizzavano alle stelle, e nel 2006 due geologi hanno trovato un varco attraverso il South Lakes Glacier che si ritirava a vista d'occhio. Se il termometro cresce di un grado vicino all’equatore, qui ne guadagna almeno quattro. «Tutto merito del cambiamento climatico - concede Nick Hall -, ma in fondo è un ritorno all’epoca verde dei vichinghi». Nel villaggio di pescatori a ridosso della miniera, uomini e donne macellano le foche sulle rocce, ignari del passato lussureggiante dell’isola e incerti sul futuro.

«L’effetto peggiore dello scioglimento dei ghiacci della Groenlandia è sulla corrente del Golfo», continua Alessandro Farruggia. Il vecchio continente, distante tremila chilometri, farebbe bene a ricordarsene: «Il meccanismo funziona come un’orologio, quando la corrente calda arriva all’altezza dell’Europa del nord si raffredda, il sale precipita, la corrente fredda e salata torna indietro. Se s’immettesse un flusso rilevante d’acqua fredda e dolce, il ciclo si arresterebbe compromettendo l’equilibrio climatico». È già successo a dire il vero, milioni e milioni d’anni fa. Allora, in piena epoca glaciale, c’era un grande lago tra il Canada e il Nord Dakota. Quando la lingua di ghiaccio che lo conteneva si sciolse e una valanga d’acqua fredda e dolce confluì nell’Atlantico la corrente del golfo s’inceppò per 1100 anni. Come stavolta, ci furono vincitori e perdenti. Sostiene l’archeologo americano Brian Fagan che quel raffreddamento costrinse le genti del Mediterraneo a coltivare la terra, non potendo più raccoglierne i frutti, e gettò le fondamenta dello sviluppo mesopotamico. Corsi e ricorsi. Stavolta potrebbe essere l’umanità intera a soccombere. Intanto sulle tavole tra i fiordi della Groenlandia, si serve cotoletta di tricheco e insalata indigena. Alla salute di Erik il Rosso.
FONTE:lastampa.it

giovedì 3 settembre 2009

RISCALDAMENTO GLOBALE: IL MONDO E' SULL'ORLO DEL PRECIPIZIO


'Abbiamo il piede sull'acceleratore e ci stiamo dirigendo verso l'abisso'', ha ammonito Ban Ki-moon riferendosi ai cambiamenti climatici. In un intervento alla Terza Conferenza mondiale sul clima, in corso a Ginevra, il segretario generale dell'Onu ha esortato la comunita' internazionale ad agire ''adesso''. ''Abbiamo scatenato forze potenti ed imprevedibili, il cui impatto e' gia' visibile. L'ho osservato con i miei occhi'', ha aggiunto Ban ki Moon reduce da una missione all'Artico.

Abbiamo un piede incollato sull'acceleratore e ci stiamo dirigendo verso un precipizio''. E' questa l'immagine con cui il segretario generale dell'Onu, Ban Ki Moon, oggi alla Conferenza mondiale sul Clima di Ginevra, ha voluto lanciare un monito sui rischi imminenti che sta correndeo il pianeta.

Ban Ki Moon, che questa settimana ha visitato l'Artico per vedere in prima persona gli effetti del riscaldamento globale, ha avvertito che ''molti degli scenari piu' a lungo termine'' previsti dagli scienziati si stanno ''verificando ora''. ''Gli scienziati - ha spiegato - sono stati accusati per anni di allarmismo, ma i veri allarmisti sono quelli che dicono che non possiamo permetterci un'azione'' contro il riscaldamento climatico, perche' ''cio' fermerebbe la crescita economica''. Queste persone ''sbagliano, il cambiamento climatico potrebbe essere disastroso'', ha avvertito Ban.

Il numero uno dell'Onu ha poi fissato le speranze di un'inversione di tendenza sul summit sul cambiamento climatico dei leader mondiali a New York, previsto questo mese.

I colloqui su un nuovo Protocollo di Kyoto e sui tagli alle emissioni in vista della Conferenza di Copenaghen di dicembre sono stati troppo lenti e limitati. ''Abbiamo 15 giorni utili per i negoziati da qui a Copenaghen, non possiamo permetterci progressi limitati, abbiamo bisogno di rapidi progressi'', ha aggiunto, criticando ''l'inerzia'' di molti paesi sul tema. ''A New York mi aspetto discussioni chiare e costruttive, mi aspetto la costruzione'' di uno strumenmto che funga da ponte per il futuro e ''risultati forti'', ha detto Ban ai delegati di 150 paesi riuniti al meeting di Ginevra.

Il segretario generale dell'Onu ha poi avvisato che il prezzo di un eventuale fallimento della Conferenza di Copenaghen sarebbe alto ''non solo per le future generazioni, ma anche per questa generazione''. Ban ha poi ribadito che la promessa fatta dal Gruppo del G8 per un taglio a lungo termine, entro il 2050, dell'80% delle emissioni nocive non e' sufficiente: ''Continuo a credere che avrebbero dovuto fissare un obiettivo di medio termine e continuero' a sostenere con il G8 e il G20'' questa posizione.

Nel corso del suo mandato, Ban Ki Moon ha effettuato diversi viaggi allo scopo di verificare l'impatto del cambiamento climatico sull'ambiente e sull'uomo, compreso un viaggio in Antartide. Ban ha visto di persona l'avanzameto dei deserti in Ciad e la diminuzione della foresta amazzonica in Brasile. Visibilmente preoccupato dall'ultima visita nell'Artico, Ban Ki Moon ha avvertito che l'innalzamento del livello del mare, causato in primo luogo dallo scioglimento dei ghiacci della calotta polare, minaccera' grandi citta' in tutto il mondo, cun bacino potenziale di 130 milioni di persone. Il cambiamento climatico, secondo Ban, sta inoltre innescando una corsa alle risorse naturali nell'Artico, dopo l'apertura di un passaggio per le navi nei mari del polo nord, ora liberi dai ghiacci. ''Non stiamo solo sfidando l'ambiente, il cambiamento climatico sta anche alterando il quadro geopolitico'', ha spiegato.

Ban ha poi invocato azioni urgenti sui temi-chiave dei negoziati preparatori della Conferenza di Copenaghen, caratterizzati da divisioni tra paesi ricchi, emergenti e poveri. Secondo Ban queste divisioni si registrano anche sulle misure da adottare per adattarsi al cambiamento climatico e sull'avvio di 'finanziamenti rapidi' per aiutare i paesi piu' vulnerabili e meno sviluppati. Mentre le nazioni piu' industrializzate hanno bisogno di obiettivi sulle emissioni di medio termine, Ban ha rilevato che anche i paesi in via di sviluppo ''hanno bisogno di agire subito per diminuire la crescita delle emissioni''.

L'ex diplomatico sudcoreano ha poi rivelato di star lavorando a un vertice dei leader delle nazioni che hanno le piu' grandi foreste per un meeting, da svolgere entro il mese, sulla deforestazione: ''Chiedero' ai leader delle nazioni con le piu' grandi foreste di incontrarci'' il 22 settembre. Per il segretario generale dell'Onu i paesi a maggior rischio deforstazione sono Brasile, Indonesia, Repubblica democratica del Congo e alcuni paesi europei.

mercoledì 29 luglio 2009

ENERGIA NUCLEARE IN ITALIA NESSUNA INNOVAZIONE Nè COMPETITIVITà


''Con il nucleare nessuna innovazione, ne' competitivita', solo alti costi, rischi e nessun vantaggio per il clima. Non solo non e' fondamentale per il nostro Paese ma togliera' risorse allo sviluppo delle vere fonti che possono aumentare la nostra efficienza e la nostra competitivita'. Un ritorno all'atomo oggi in Italia e' un errore imperdonabile''. E' duro il commento del presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza alle dichiarazioni sul nucleare del presidente dell'Enea Luigi Paganetto rilasciate nel corso della presentazione del rapporto ''Energia e ambiente''.

''Il tempo - aggiunge il presidente di Legambiente- non e' una variabile indipendente e continuare ad ignorare che produrre energia dall'atomo in Italia non sara' possibile prima del 2025-2030 e' mettere la testa sotto la sabbia. La crisi economica e quella energetica hanno bisogno di provvedimenti immediati, cosi' come l'urgenza di ridurre la CO2 in atmosfera e il nucleare non offre soluzioni a nessuna di queste problematiche. Per non parlare della sicurezza e dei costi''.

''Le affermazioni di molti nuclearisti di oggi - conclude Cogliati Dezza - alimentano illusioni insieme a false e semplicistiche aspettative distogliendo l'attenzione sociale e politica dall'unica strada immediatamente perseguibile, quella dell'efficienza e delle energie alternative, che danno una risposta immediata ai cambiamenti climatici e alla crisi economica. Secondo un recente studio della UE, investire su quest'ultime ha gia' portato 2,8 milioni di posti di lavoro e l'1,1% del Pil''.

''Sono utili i dati contenuti nel rapporto 'Energia e ambiente 2008' dell'Enea ed e' assolutamente condivisibile l'enfasi posta nell'innovazione tecnologica e in particolare sull'efficienza energetica per quanto riguarda la qualita' del nostro futuro, ma il Presidente Luigi Paganetto sbaglia quando guarda con favore a una tecnologia vecchia come quella nucleare''. Questo il commento di Francesco Ferrante, dell'esecutivo nazionale degli Ecologisti Democratici sul documento presentato oggi, a Roma.

''L'Enea deve essere messo in condizioni, con le risorse economiche sufficienti e rifuggendo dalla tentazioni lottizzatrici di questo governo, di lavorare e stimolare la ricerca - prosegue Francesco Ferrante - per sperimentare le tecnologie che possano avere una applicazione sensibile nel campo dell'efficienza energetica e delle rinnovabili. E' sbagliato invece pensare all'applicazione di una tecnologia superata come quella della terza generazione nucleare, che non ha superato alcun problema collegato alla sicurezza e allo smaltimento finale delle scorie e che costa decisamente troppo''.


''L'ultima conferma in questo contesto - spiega ancora Ferrante - e' arrivata dal rapporto del Massachusetts Institute of Technology di Boston (Mit) che esplicitamente afferma che in un'economia di mercato il nucleare non e' competitivo e che i costi del capitale e i costi finanziari delle centrali nucleari continuano ad essere infatti significativamente incerti. Nel 2007, secondo i nuovi dati del Mit, realizzare una centrale nucleare costa 4000 dollari per kW contro i 2000 di quattro anni prima. Una crescita che si ripercuote inevitabilmente anche sui costi finali dell'energia: dai 6,7 centesimi a kilowattora stimati nel 2003 il nucleare e' passato ad un costo di 8,4 cent a kilowattora contro i 6,2 del carbone ed i 6,5 del gas''.


''D'altra parte - conclude l'esponente Ecodem - se mai il nucleare verra' rilanciato nel nostro paese avra' bisogno di ingenti sostegni economici pubblici che i cittadini dovranno pagare mentre ogni sforzo andrebbe fatto per sostenere le rinnovabili. L'Enea deve invece concentrasi con quello che in tutto il mondo e' considerata la chiave di volta di un nuovo sviluppo: rinnovabili ed efficienza energetica e per quanto riguarda il nucleare sulla 'quarta generazione' con l'obiettivo di superare i problemi connessi alla sicurezza e allo smaltimento delle scorie''.

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mercoledì 22 luglio 2009

centrali nucleari in Italia:costruire una centrale nucleare era e resta costosissimo e richiede molti piu' anni di quanto non si dica


Famiglia Cristiana solleva pesanti dubbi sulla scelta nucleare del governo Berlusconi. E il dl anticrisi ridimensiona la Prestigiacomo. Francescato: "Colpo di grazia al ministero dell'Ambiente"

''Nessuna delle obiezioni che hanno indotto gli italiani a rinunciare al nucleare e' stata rimossa'' mentre ''costruire una centrale nucleare era e resta costosissimo'' e richiede ''molti piu' anni di quanto non si dica''. Ad esprimere forti dubbi e riserve sulla decisione del governo di avviare la costruzione di nuove centrali nucleari nel Paese, e' il settimanale Famiglia Cristiana, nel numero in edicola.

''E' realistico pensare che un ritorno al nucleare oggi sarebbe di grande utilita' per il Paese?'', si chiede Famiglia Cristiana aggiungendo che "nulla e' cambiato da quando gli italiani con il referendum hanno detto no al nucleare". ''Costruire una centrale nucleare - scrive ancora il settimanale - era e resta costosissimo, oltre al fatto che la costruzione di una centrale richiederebbe molti piu' anni di quanto non si dica''.

''Il governo fa una stima di dodici-tredici'', spiega, mentre ''previsioni piu' attendibili parlano di almeno vent'anni''. E poi ancora: "Si sprecano elogi per Barack Obama che punta tutto sull'energia pulita'' ma ''noi torniamo indietro''. E ancora, prosegue, il ministro Tremonti ha dichiarato di non avere risorse per il nucleare''.

Si afferma cosi', conclude Famiglia Cristiana, ''una politica degli annunci che, all'insegna dello slogan 'il Sessantotto e' finito', dovrebbe restituirci una scuola che ci rassicura se torna a bocciare, maggiore sicurezza, e persino il Ponte di Messina per il quale tutti hanno belle parole e la tasca vuota'' mentre, ''dovrebbe restituirci'' ''una certa serieta' e una qualche coerenza fra gli annunci e le cose che, effettivamente, si faranno''

E sul nucleare, in particolare sulla norma del decreto anticrisi che consente di nominare dei commissari per la realizzazione di impianti di energia, incluse le centrali atomiche, e' intervenuta in modo molto critico anche la ministra dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo, che ha protestato contro il governo di cui fa parte: "Una norma che, in barba all'opinione del ministro competente, in spregio alla tutela ambientale prevista dalla Costituzione, rischia di provocare gravi danni al territorio e la sollevazione delle popolazioni interessate. Ci tolgono competenze - dice ancora la ministra - e cosi' ci hanno tolto anche i soldi. Se finora ho sopportato in silenzio, adesso basta".

"L'articolo 4 del decreto anti crisi - osserva Grazia Francescato, portavoce nazionale dei Verdi ed esponente di Sinistra e Libertà - è il colpo di grazia al Ministero dell'Ambiente e la dimostrazione di come si voglia sottrarre ad ogni controllo ed obiezione la follia nucleare, antiambientale ed antieconomica, in cui questo governo si sta irresponsabilmente imbarcando".
Fonte: verdi.it

'L'estromissione del Ministro dell'Ambiente dalle scelte sulla realizzazione degli impianti energetici e l'attribuzione di competenze al Ministero della semplificazione legislativa si spiegano unicamente con l'intento, neanche troppo velato, di consentire alle lobbies economiche del Nord di allungare le mani sul business delle nuove fonti energetiche, compreso il solare''.

Lo affermano in una nota il capogruppo del Mpa a Montecitorio, Carmelo Lo Monte, e il componente della Commissione Attivita' Produttive, Arturo Iannaccone, anche lui del Mpa. ''L'articolo 4 del decreto anticrisi -spiegano i parlamentari- estromette il Ministero dell'Ambiente dalla possibilita' di esercitare la funzione per la quale e' preposto: la tutela del territorio e la vigilanza sull'impatto ambientale delle centrali nucleari che dovranno essere realizzate. E' in egual misura censurabile l'esclusione dei Comuni e delle Regioni dalla possibilita' di esprimersi in merito alla realizzazione di strutture per le quali e' necessario ricercare il consenso delle comunita' interessate che puo' essere garantito solo da un forte coinvolgimento delle autonomie locali''. ''Il Movimento per l'Autonomia Alleati per il Sud esprime, pertanto, la sua netta contrarieta' sulla formulazione dell'articolo 4 del decreto anticrisi che -concludono Lo Monte e Iannaccone- non solo va in direzione opposta al federalismo e alla tutela delle autonomie locali, ma consente alle lobbies industriali del Nord di incunearsi indebitamente nella realizzazione delle infrastrutture ubicate nelle regioni meridionali''

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