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mercoledì 5 gennaio 2011

ALLARMATI ! - No alle modifiche alla legge 185 che regola il commercio delle armi


Editoriale di Gennaio 2011 di Mosaico di Pace
Alex Zanotelli
Fonte: Mosaico di Pace - 03 gennaio 2011

“Quando tanti popoli hanno fame, quando tante famiglie soffrono la miseria, quando tanti uomini vivono immersi nell’ignoranza, quando restano da costruire tante scuole... ogni sperpero pubblico o privato, ogni spesa fatta per ostentazione nazionale o personale, ogni estenuante corsa agli armamenti diviene uno scandalo intollerabile. Noi abbiamo il dovere di denunciarlo. Vogliano i responsabili ascoltarci prima che sia troppo tardi”(Paolo VI, 1967 Populorum Progressio, n.53). Sono parole che potrebbero risuonare con drammatica attualità ancora oggi. Nelle nostre chiese, per esempio, proprio a Natale, quando si celebra la nascita del Principe della Pace. Dobbiamo riscoprire il coraggio profetico di un Magistero della Chiesa che ha condannato senza se e senza ma la guerra e la corsa agli armamenti con innumerevoli documenti che rischiano di restare a prendere polvere in qualche scaffale. Lasciando il posto a nuove teorie basate sulla sicurezza, sulla competitività e sulla fedeltà agli alleati. Al calcolo e all’interesse e non alla freschezza di un annuncio evangelico. Proprio mentre davanti agli occhi di tutti c’è la tragedia della guerra in Afghanistan (non l’unica), ogni invocazione di pace, ogni ricerca di strade diverse dalla guerra, rischia di essere tacciata di antipatriottismo o di tradimento. Proprio di fronte alla retorica della pace ottenuta con la guerra, deve essere più forte il grido di pace contro le armi. Come 20 anni fa con la Campagna “contro i mercanti di morte” che ha portato alla legge 185/90, universalmente riconosciuta come la più avanzata sul controllo dell’export di armi. Legge che rischia di essere cancellata, con la scusa di un adeguamento alla legislazione europea. “In piedi costruttori di pace” ci avrebbe chiesto don Tonino, se fosse stato con noi, lo scorso 23 novembre, al presidio davanti al Senato per chiedere trasparenza sulla riforma della legge 185. L’esportazione di armi italiane va a gonfie vele: quasi 5 miliardi di euro autorizzati nel 2009. Se cambia la legge non ci sarà più controllo, non potremo più sapere a chi abbiamo venduto armi. Non sarà più possibile incalzare le banche perchè non sarà più possibile sapere quali di esse sono armate e quali no. In piedi allora! Riprendiamo con forza la denuncia delle guerre. L’ammontare complessivo delle spese per la Difesa per il 2011, inserendo lo Sviluppo Economico e le Missioni, supera 24 miliardi di euro. Si taglia tutto ma non le armi. In questi giorni siamo stati vicini alle proteste degli studenti contro la riforma della scuola: denunciavano i tagli alla ricerca mentre ci sono 15 miliardi per gli aerei da guerra F 35.

Siamo di fronte a una politica succube dei potentati economico- finanziari, delle grandi lobby delle armi, Alenia e Finmeccanica in testa.

Dobbiamo riscoprire il primato della coscienza e della disobbedienza civile. Dobbiamo insistere perchè venga riconosciuto il diritto di dichiararsi obiettore davanti allo Stato: per questo il 23 novembre abbiamo tenuto una conferenza stampa a Palazzo Madama, per chiedere al Governo di aprire un albo di obiettori a chi ne fa richiesta, indipendentemente dal servizio di leva.

Dobbiamo ritornare a parlare di armi, a chiedere conto ai politici, qualunque sia il Governo che avremo davanti. C’è bisogno di risvegliarsi da un sonno durato forse troppo tempo.
Dobbiamo mobilitarci come Chiesa, come associazioni e movimenti, come società civile. Con lo spirito di 20 anni fa, che ha portato alla legge 185, anche se molte cose sono cambiate, anche se il mondo è cambiato. Dobbiamo dire no a questa logica di morte, per una democrazia che investa sulla vita. Perché non approfittare della festa del Natale e del Capodanno per rilanciare con forza il movimento (con bandiere della pace ai balconi) fino alla Marcia Perugia-Assisi nel suo 50° anniversario (25 settembre 2011)?

È questa la grande sfida che ci attende.

In piedi, costruttori di pace!

Editoriale di Gennaio 2011 di Mosaico di Pace
Alex Zanotelli
Fonte: Mosaico di Pace - 03 gennaio 2011

mercoledì 24 novembre 2010

Acqua, troppo arsenico dal rubinetto «I comuni rispettino le norme Ue»

«Nessuna emergenza legata all’acqua di rubinetto. La situazione è sotto controllo e non ci sono rischi per la salute». Massimo Ottaviani, esperto del dipartimento Ambiente dell’Istituto Superiore di sanità, ridimensiona l’allarme causato da concentrazioni di arsenico superiori ai livelli stabiliti dall’Ue nelle acque di alcuni Comuni italiani, un centinaio, quasi tutti nel Lazio. Martedì il ministro della Salute Ferruccio Fazio ha annunciato di aver trasmesso alle amministrazioni che hanno sforato i limiti una circolare dove si comunica che l’Ue ha respinto la richiesta di deroga. Tutti dovranno rispettare il limite di 20 microgrammi di arsenico per litro (quello indicato nella normativa è di 10 microgrammi, dunque è stato concesso un innalzamento).

Dottor Ottaviani cosa succede adesso?
«I Comuni che hanno concentrazioni superiori ai 20 microgrammi dovranno rientrare nella norma secondo i piani presentati al momento di chiedere la deroga. Questo risultato si può raggiungere con interventi tecnologici, attraverso la miscelazione di altre acque o con trattamenti specifici. L’arsenico per fortuna è facilmente eliminabile».
In attesa di raggiungere gli obiettivi del piano di rientro che provvedimenti dovrebbero attuare i Comuni che hanno sforato?
«Dovrebbero vietare l’uso alimentare di acqua di rubinetto. Avvertire i cittadini di non berla. Chiariamo subito però che si tratta di una precauzione. Perché il consumo di acqua con concentrazione di arsenico superiori ai limiti previsti, se riguarda periodi limitati, non è pericoloso. Non c’è rischio per la salute».
Ma se l’Ue indica dei limiti qualche motivo ci sarà...
«La direttiva europea quando stabilisce il limite di 10 microgrammi per litro si riferisce a un consumo quotidiano e per tutta la vita».
Perché certe acque comunali contengono arsenico?
«L’arsenico è uno degli elementi caratteristici del suolo di origine vulcanica. È una presenza geologica quindi non dovuta all’intervento dell’uomo. Quando passa attraverso la roccia l’acqua trasporta con se questi elementi».
Perché il ministero ha richiesto per questi Comuni ben tre deroghe?
«È una procedura consentita dalla direttiva europea. L’ultima richiesta prevedeva il parere dell’Ue che in questo caso ha negato la deroga».
È vero che sono circa un milione i cittadini che potrebbero consumare acqua all’arsenico?
«Non mi risulta. In realtà sono qualche centinaia di migliaia. Non bisogna perdere la calma. Invece…»
Invece?
«Si è diffuso un allarme sproporzionato. Pensi, i responsabili dei servizi acqua di alcuni Comuni mi hanno chiamato per sapere se con acque del genere ci si può lavare. Ma certo. Mica è veleno»


Il ministero della Salute sta avviando alle Regioni la comunicazione che abolisce la deroga che portava a 50 milligrammi per litro la concentrazione massima di arsenico nelle acque destinate al consumo. La decisione arriva dopo la bocciatura dell'Unione europea alla deroga. Un no che elenca i 128 comuni d'Italia in cui i limiti sarebbero stati ampiamente superati.
IL MINISTRO - Ora, ha spiegato il ministro della Salute, Ferruccio Fazio, sarà necessario fare un piano con le Regioni. L'ordinanza di deroga era stata fatta, ha riferito il ministro, «perché si prevedeva che non ci fosse alcun parere negativo da parte della Comunità europea». Il limite, ha ancora ricordato il ministro, era fissato a 10 milligrammi per litro e l'ordinanza lo aveva portato a 50, ora la Comunità europea indica l'opportunità di non superare i 20 milligrammi.
Fonte: http://www.corriere.it/salute/10_novembre_23/debac-arsenico-acqua_354e4d68-f72f-11df-ba4f-00144f02aabc.shtml

venerdì 17 settembre 2010

CACCIA : Conserva la biodiversita, DOMANI A VENEZIA SI MANIFESTERà PER DIRE BASTA


Conserva la biodiversita', aboliamo la caccia'' e' lo slogan della manifestazione nazionale anticaccia organizzata da LAV e altre associazioni alla vigilia dell'apertura generale della stagione venatoria fissata per la terza domenica di settembre: sabato 18 settembre, il corteo manifestera' a Venezia, capoluogo del Veneto, regione simbolica perche' ad altissima densita' di cacciatori. Per tutti i partecipanti l'appuntamento e' alle ore 15:30 a Campo San Geremia.

''La caccia e' la principale minaccia alla biodiversita' - dichiara Massimo Vitturi, responsabile nazionale LAV settore caccia e fauna selvatica - benche' il numero dei praticanti di questo contestato massacro legalizzato sia costantemente in diminuzione, il loro impatto e' ancora fortissimo e gravissimo, mentre i piu' recenti sondaggi confermato che 7 italiani su 10 si sono dichiarati contrari alla caccia: un'esigua minoranza di persone armate ha il fucile puntato contro i nostri animali, gli animali di tutti gli italiani.

Eppure la fauna selvatica e' patrimonio indisponibile dello Stato''.

''Invitiamo tutti i cittadini a partecipare alla manifestazione anticaccia di sabato 18 settembre a Venezia - prosegue Massimo Vitturi - Coloro che non potranno partecipare, possono comunque dimostrare la loro solidarieta' ai circa 100 milioni di animali sterminati ogni anno in Italia e chiedere l'abolizione della caccia, inviandoci un breve messaggio a info@lav.it anche attraverso il nostro portale www.lav.it''.

La caccia,- ricorda la Lav - oltre alla strage di milioni di animali, provoca: l'estinzione generale o locale di alcune specie e la rarefazione di altre; l'alterazione degli equilibri ecologici naturali; la diffusione di malattie come il saturnismo (avvelenamento da piombo degli uccelli che ingeriscono i pallini) e gravi sofferenze agli animali feriti. Sempre piu' frequenti gli incidenti con perdite anche di vite umane.

Nel corso degli ultimi 20 anni il numero di cacciatori si e' dimezzato passando da 1.500.986 (1988) a 751.876 del 2007 (Istat). La Toscana conta il maggior numero di doppiette (112.571) e, in generale, e' il centro-nord del Paese ad ospitare circa il 70% dei cacciatori italiani.

mercoledì 8 settembre 2010

Test su animali, nuove norme in Europa

Critiche da alcuni esponenti italiani, consente piu' esperimenti
Il Parlamento europeo ha dato il via libera alla nuova direttiva Ue sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici. Un provvedimento sul quale hanno espresso riserve alcuni esponenti del governo italiano e autorevoli rappresentanti della comunita' scientifica e culturale perche' aprirebbe a piu' esperimenti.

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Vivisezione : l’inganno dell’Unione europea, prendi un animale e lo torturi tre volte


La nuova direttiva Ue deve essere approvata entro l'8 settembre. Ma già infuriano le polemiche degli animalisti su una deriva ancora più violenta. Ogni anno vengono utilizzati 12 milioni di animali per esperimenti scientifici.

Esperimenti su animali randagi e domestici. In poche parole cani e gatti. Utilizzando metodi da tortura come l’isolamento forzato, il nuoto forzato o altri esercizi che portano inevitabilmente all’esaurimento (morte) degli animali. E non è finita, perché se l’intensità è “moderata”, l’esperimento sulla stessa bestiola si può ripetere. Un bell’escamotage per sostenere, come recita la nuova direttiva europea sulla vivisezione, che d’ora in poi gli esperimenti coinvolgeranno meno animali. Il tutto gravato da un singolare paradosso: in Italia la legge sulle vivisezione è più rigida, ma ora le nuove regole dell’Unione non saranno più derogabili dai singoli paesi con buona pace delle multinazionali del farmaco. Certo l’Italia potrebbe chiedere di mantenere le sue regole, ma la domanda è: lo farà?

Intanto, dopo anni di discussioni e rimaneggiamenti, la nuova direttiva europea sulla vivisezione è pronta al varo. Ma nessuno, o quasi, degli europarlamentari italiani eletti nel 2009 è ancora andato a leggersi il testo. Peccato, perché a guardarlo bene ci sono punti che farebbero accapponare la pelle anche al più convinto sostenitore della sperimentazione scientifica con gli animali. Il testo prevede, ad esempio, all’articolo 16: “La possibilità di riutilizzare animali già sottoposti a esperimenti di intensità ‘moderata’”. Un paradosso, si diceva. “In questi ultimi mesi quasi tutti gli articoli chiave sono cambiati in peggio rispetto alla prima stesura del 2008 – dichiara scandalizzata Vanna Brocca della Leal, la Lega antivivisezione – ad esempio la frase la possibilità di riutilizzare animali già sottoposti a esperimenti di intensità moderata è significativamente diversa rispetto alla prima stesura ipotizzata dalla Commissione, dove si parlava invece di esperimenti di intensità lieve“.

“Tra le procedure codificate poi – continua la Brocca – c’è l’isolamento forzato di cani e scimmie o il nuoto forzato o altri esercizi fino all’esaurimento dell’animale”. Un risultato ben diverso, insomma, da quello che si aspettavano le principali associazioni animaliste che auspicavano il graduale superamento della sperimentazione con gli animali grazie all’utilizzo di metodi alternativi, in provetta o tramite modelli computerizzati e, nello stesso tempo, la riduzione degli esperimenti più dolorosi. Ma non è l’unico scivolone del testo. Sempre nella prima stesura del 2008 non vi era di certo: “La possibilità di chiedere delle deroghe a sperimentare su animali randagi delle specie domestiche – aggiunge la Brocca – l’ articolo 11 del testo (compresi cani e gatti ndr), qualora sia impossibile raggiungere lo scopo della procedura” altrimenti e quando sia ritenuto “essenziale” per tutelare l’ambiente o la “salute umana o animale”.

Eppure, la relatrice della normativa, l’eurodeputata Elisabeth Jeggle del Partito popolare europeo, aveva dichiarato alle agenzie di stampa: “Le nuove norme realizzano un compromesso tra i diritti degli animali e le esigenze della ricerca”. Ma il risultato finale non pende certo a favore degli animali. E così, mentre i nostri eurodeputati sonnecchiano, il tam tam di protesta degli animalisti è già partito. La Leal, lega antivivisezionista, sta raccogliendo le firme per una petizione online da portare al Parlamento europeo entro l’8 settembre, giorno della votazione del testo. Sono già oltre le 60mila. Tra questi hanno firmato: l’astrofisica Margherita Hack, l’attrice Lea Massari, la scrittrice Sveva Casati Modignani, il fotografo Gabriele Basilico. In gioco, stando ai dati forniti dall’Ue nel 2005 (gli ultimi disponibili), ci sono i 12 milioni di animali che vengono usati ogni anno in Europa per finalità di ricerca. Una statistica dalla quale vengono generalmente escluse le specie invertebrate e gli animali uccisi per utilizzare tessuti e organi. Ed ecco che cosa si sono inventati a Bruxelles come “compromesso”, per usare le parole della Jeggle.

Il professor Agostino Macrì è stato per anni uno dei massimi ricercatori all’Istituto Superiore di Sanità, oggi scrive per alcune riviste scientifiche: “Io ho fatto quasi sempre sperimentazione sui ratti, non sono contrario alla sperimentazione scientifica con test sugli animali. Ci sono farmaci che possono essere testati sull’uomo se non dopo una prima fase di test fatta sugli animali. Certo, però, se dovesse passare il principio generale a livello europeo che si possono riutilizzare per più esperimenti gli stessi animali, sarei contrario. Mi sembra una inutile tortura. Come sono contrarissimo a usare animali cosiddetti randagi, portatori di per se di altre malattie. Oggi comunque in Italia – continua Macrì – per la sperimentazione su cani e gatti o su altre specie al di fuori dei ratti, bisogna chiedere una deroga, una autorizzazione al ministero della Salute che la sottopone poi al vaglio di una commissione in seno all’I.S.S”. E già la normativa italiana, la n.116/92, è parecchio restrittiva sulla sperimentazione su quasi tutte le specie animali.

“In realtà- dice Brocca – domani potrebbe diventare tutto più difficile o più semplice a guardarlo dalla parte dei vivisettori e dei grandi gruppi che dalla vivisezione traggono profitto. Infatti l’articolo 2 della nuova Direttiva esclude che si possano apportare migliorie alla Direttiva nella fase di recepimento. Tutt’al più l’Italia potrà chiedere di mantenere delle misure più restrittive, se già le possiede. Ma avrà voglia di farlo?”. Il timore è che per competere con gli altri 26 Paesi dell’Unione, il nostro governo non si batta abbastanza e decida di adeguarsi integralmente a questa Direttiva tutta giocata al ribasso.

Bruno Fedi, già docente universitario in medicina a Roma e poi a Terni, è un luminare del cancro dell’urotelio. Fedi è un “pentito” della sperimentazione scientifica sugli animali: “Dopo 15 anni di sperimentazione all’università su cavie, topi, criceti, cani e gatti, un bel giorno mi sono reso conto che i risultati erano o inutili o dannosi e ho deciso così di liberare tutti gli animali del laboratorio. Torturare e uccidere animali, per sperimentare cosmetici, farmaci o altro, è una ingiustificabile crudeltà, a meno che non vi sia una reale utilità per l’uomo. Faccio notare – continua Fedi – che i risultati degli esperimenti su animali, possono essere, sull’uomo, uguali, diversi, o addirittura opposti e per verificarlo bisogna ripetere gli esperimenti sull’uomo. Questo fatto è ormai riconosciuto da prestigiose riviste e organizzazioni di controllo o di ricerca internazionali. Le grandi industrie si ostinano a praticare esperimenti su animali solo perché così facendo “l’iter” di molecole farmacologiche nuove, prima della immissione sul mercato, diventa più complesso e costoso, escludendo le piccole industrie e i paesi poveri dal progresso scientifico. Vogliamo metterci in testa che la struttura genetica di un animale è diversa da quella di un uomo! Non siamo, come ha scritto un mio illustre collega su Nature (si tratta dell’autorevole scienziato Thomas Hartung ndr), topi che pesano 70 kilogrammi. Gli uomini assorbono le sostanze in modo diverso, le metabolizzano in modo diverso. Vi sono metodi alternativi alla sperimentazione sugli animali, come quelli sulle cellule coltivate o quelli sui tessuti umani che si possono prelevare dagli arti amputati, che danno risultati di gran lunga migliori”.

Secondo la Leal, anche in materia di metodi alternativi alla sperimentazione animale il testo che sarà votato a Strasburgo segna un pericoloso passo indietro rispetto a quello di due anni fa: “Infatti vengono resi obbligatori soltanto i metodi alternativi recepiti dalla normativa comunitaria, che al momento sono pochi. Il primo testo proposto della Commissione, invece, era molto più avanzato, includendo tutti i metodi sostitutivi disponibili e scientificamente soddisfacenti”.
fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/08/30/vivisezione-linganno-dellunione-europea-prendi-un-animale-e-lo-torturi-tre-volte/52376/

venerdì 3 settembre 2010

Vivisezione : l’inganno dell’Unione europea, prendi un animale e lo torturi tre volte


La nuova direttiva Ue deve essere approvata entro l'8 settembre. Ma già infuriano le polemiche degli animalisti su una deriva ancora più violenta. Ogni anno vengono utilizzati 12 milioni di animali per esperimenti scientifici.

Esperimenti su animali randagi e domestici. In poche parole cani e gatti. Utilizzando metodi da tortura come l’isolamento forzato, il nuoto forzato o altri esercizi che portano inevitabilmente all’esaurimento (morte) degli animali. E non è finita, perché se l’intensità è “moderata”, l’esperimento sulla stessa bestiola si può ripetere. Un bell’escamotage per sostenere, come recita la nuova direttiva europea sulla vivisezione, che d’ora in poi gli esperimenti coinvolgeranno meno animali. Il tutto gravato da un singolare paradosso: in Italia la legge sulle vivisezione è più rigida, ma ora le nuove regole dell’Unione non saranno più derogabili dai singoli paesi con buona pace delle multinazionali del farmaco. Certo l’Italia potrebbe chiedere di mantenere le sue regole, ma la domanda è: lo farà?

Intanto, dopo anni di discussioni e rimaneggiamenti, la nuova direttiva europea sulla vivisezione è pronta al varo. Ma nessuno, o quasi, degli europarlamentari italiani eletti nel 2009 è ancora andato a leggersi il testo. Peccato, perché a guardarlo bene ci sono punti che farebbero accapponare la pelle anche al più convinto sostenitore della sperimentazione scientifica con gli animali. Il testo prevede, ad esempio, all’articolo 16: “La possibilità di riutilizzare animali già sottoposti a esperimenti di intensità ‘moderata’”. Un paradosso, si diceva. “In questi ultimi mesi quasi tutti gli articoli chiave sono cambiati in peggio rispetto alla prima stesura del 2008 – dichiara scandalizzata Vanna Brocca della Leal, la Lega antivivisezione – ad esempio la frase la possibilità di riutilizzare animali già sottoposti a esperimenti di intensità moderata è significativamente diversa rispetto alla prima stesura ipotizzata dalla Commissione, dove si parlava invece di esperimenti di intensità lieve“.

“Tra le procedure codificate poi – continua la Brocca – c’è l’isolamento forzato di cani e scimmie o il nuoto forzato o altri esercizi fino all’esaurimento dell’animale”. Un risultato ben diverso, insomma, da quello che si aspettavano le principali associazioni animaliste che auspicavano il graduale superamento della sperimentazione con gli animali grazie all’utilizzo di metodi alternativi, in provetta o tramite modelli computerizzati e, nello stesso tempo, la riduzione degli esperimenti più dolorosi. Ma non è l’unico scivolone del testo. Sempre nella prima stesura del 2008 non vi era di certo: “La possibilità di chiedere delle deroghe a sperimentare su animali randagi delle specie domestiche – aggiunge la Brocca – l’ articolo 11 del testo (compresi cani e gatti ndr), qualora sia impossibile raggiungere lo scopo della procedura” altrimenti e quando sia ritenuto “essenziale” per tutelare l’ambiente o la “salute umana o animale”.

Eppure, la relatrice della normativa, l’eurodeputata Elisabeth Jeggle del Partito popolare europeo, aveva dichiarato alle agenzie di stampa: “Le nuove norme realizzano un compromesso tra i diritti degli animali e le esigenze della ricerca”. Ma il risultato finale non pende certo a favore degli animali. E così, mentre i nostri eurodeputati sonnecchiano, il tam tam di protesta degli animalisti è già partito. La Leal, lega antivivisezionista, sta raccogliendo le firme per una petizione online da portare al Parlamento europeo entro l’8 settembre, giorno della votazione del testo. Sono già oltre le 60mila. Tra questi hanno firmato: l’astrofisica Margherita Hack, l’attrice Lea Massari, la scrittrice Sveva Casati Modignani, il fotografo Gabriele Basilico. In gioco, stando ai dati forniti dall’Ue nel 2005 (gli ultimi disponibili), ci sono i 12 milioni di animali che vengono usati ogni anno in Europa per finalità di ricerca. Una statistica dalla quale vengono generalmente escluse le specie invertebrate e gli animali uccisi per utilizzare tessuti e organi. Ed ecco che cosa si sono inventati a Bruxelles come “compromesso”, per usare le parole della Jeggle.

Il professor Agostino Macrì è stato per anni uno dei massimi ricercatori all’Istituto Superiore di Sanità, oggi scrive per alcune riviste scientifiche: “Io ho fatto quasi sempre sperimentazione sui ratti, non sono contrario alla sperimentazione scientifica con test sugli animali. Ci sono farmaci che possono essere testati sull’uomo se non dopo una prima fase di test fatta sugli animali. Certo, però, se dovesse passare il principio generale a livello europeo che si possono riutilizzare per più esperimenti gli stessi animali, sarei contrario. Mi sembra una inutile tortura. Come sono contrarissimo a usare animali cosiddetti randagi, portatori di per se di altre malattie. Oggi comunque in Italia – continua Macrì – per la sperimentazione su cani e gatti o su altre specie al di fuori dei ratti, bisogna chiedere una deroga, una autorizzazione al ministero della Salute che la sottopone poi al vaglio di una commissione in seno all’I.S.S”. E già la normativa italiana, la n.116/92, è parecchio restrittiva sulla sperimentazione su quasi tutte le specie animali.

“In realtà- dice Brocca – domani potrebbe diventare tutto più difficile o più semplice a guardarlo dalla parte dei vivisettori e dei grandi gruppi che dalla vivisezione traggono profitto. Infatti l’articolo 2 della nuova Direttiva esclude che si possano apportare migliorie alla Direttiva nella fase di recepimento. Tutt’al più l’Italia potrà chiedere di mantenere delle misure più restrittive, se già le possiede. Ma avrà voglia di farlo?”. Il timore è che per competere con gli altri 26 Paesi dell’Unione, il nostro governo non si batta abbastanza e decida di adeguarsi integralmente a questa Direttiva tutta giocata al ribasso.

Bruno Fedi, già docente universitario in medicina a Roma e poi a Terni, è un luminare del cancro dell’urotelio. Fedi è un “pentito” della sperimentazione scientifica sugli animali: “Dopo 15 anni di sperimentazione all’università su cavie, topi, criceti, cani e gatti, un bel giorno mi sono reso conto che i risultati erano o inutili o dannosi e ho deciso così di liberare tutti gli animali del laboratorio. Torturare e uccidere animali, per sperimentare cosmetici, farmaci o altro, è una ingiustificabile crudeltà, a meno che non vi sia una reale utilità per l’uomo. Faccio notare – continua Fedi – che i risultati degli esperimenti su animali, possono essere, sull’uomo, uguali, diversi, o addirittura opposti e per verificarlo bisogna ripetere gli esperimenti sull’uomo. Questo fatto è ormai riconosciuto da prestigiose riviste e organizzazioni di controllo o di ricerca internazionali. Le grandi industrie si ostinano a praticare esperimenti su animali solo perché così facendo “l’iter” di molecole farmacologiche nuove, prima della immissione sul mercato, diventa più complesso e costoso, escludendo le piccole industrie e i paesi poveri dal progresso scientifico. Vogliamo metterci in testa che la struttura genetica di un animale è diversa da quella di un uomo! Non siamo, come ha scritto un mio illustre collega su Nature (si tratta dell’autorevole scienziato Thomas Hartung ndr), topi che pesano 70 kilogrammi. Gli uomini assorbono le sostanze in modo diverso, le metabolizzano in modo diverso. Vi sono metodi alternativi alla sperimentazione sugli animali, come quelli sulle cellule coltivate o quelli sui tessuti umani che si possono prelevare dagli arti amputati, che danno risultati di gran lunga migliori”.

Secondo la Leal, anche in materia di metodi alternativi alla sperimentazione animale il testo che sarà votato a Strasburgo segna un pericoloso passo indietro rispetto a quello di due anni fa: “Infatti vengono resi obbligatori soltanto i metodi alternativi recepiti dalla normativa comunitaria, che al momento sono pochi. Il primo testo proposto della Commissione, invece, era molto più avanzato, includendo tutti i metodi sostitutivi disponibili e scientificamente soddisfacenti”.
fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/08/30/vivisezione-linganno-dellunione-europea-prendi-un-animale-e-lo-torturi-tre-volte/52376/

giovedì 26 agosto 2010

trivellazioni offshore: NO ALLE TRIVELLAZIONI ANCHE IN AREE NON PROTETTE


''E'in vigore da oggi il decreto del ministero dell'Ambiente, della tutela del territorio e del mare sulle trivellazioni offshore che salvera' Pelagos, il santuario internazionale dei mammiferi marini, dal rischio trivellazioni per l'estrazione di gas e petrolio a sud dell'Isola d'Elba, tra Pianosa e Montecristo''. Lo ricorda in una nota Legambiente che chiede un intervento del ministro dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo per ''impedire scempi e disastri ambientali anche nelle aree costiere e marine non protette ma ugualmente pregiate e preziose''.

''La concessione di ricerca 'Elba Sud' di 643 km2, rilasciata alla Puma Petroleum della multinazionale australiana Key Petroleum Ltd - spiega l'associazione ambientalista - ricadrebbe infatti nel pieno della zona protetta che include al suo interno le aree protette di Bergeggi, Cinque Terre, Portofino, Secche della Meloria, Asinara, i parchi nazionali dell'Arcipelago toscano e dell'Arcipelago della Maddalena e che, a tutti gli effetti ex legem, rappresenta un'area protetta per scopi di tutela ambientale, in virtu' della legge nazionale istitutiva del santuario (la l. 426/98) realizzata in attuazione di accordi e convenzioni internazionali''.

''Il decreto pubblicato mercoledi' 11 agosto sul supplemento ordinario della G.U. - dichiara il vicepresidente nazionale di Legambiente Sebastiano Venneri - vieta le attivita' di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare all'interno del perimetro delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette per scopi di tutela ambientale ma purtroppo non garantisce tutte le zone non vincolate come il Canale di Sicilia e il mare di Pantelleria per esempio, dove e' appunto in corso una mobilitazione dei barcaioli insieme ai turisti e a molti residenti per dire no alle trivellazioni. Chiediamo quindi al ministro Stefania Prestigiacomo di pronunciarsi con chiarezza per impedire scempi e disastri ambientali anche nelle aree costiere e marine non protette ma ugualmente pregiate e preziose per un corretto sviluppo turistico-economico del Belpaese''.

domenica 22 agosto 2010

misure minime per i pesci : Misure minime per il pescato. Ecco cosa potremo mangiare


Mangiare una frittura di pesce o un sautè di vongole si può. Ma d’ora in poi a tavola bisognerà munirsi di un qualche strumento di misura, perché l’Unione Europea e l’Italia impongono per salvaguardare le specie marine un limite minimo di taglia, al di sotto del quale il prodotto ittico, molluschi compresi, non potrà essere commercializzato.

Disco verde, per esempio, per orate lunghe almeno 20 centimetri, che diventano 11 per triglie e sardine, 18 per sgombri e 20 per sogliole e orate. Di seguito, tutte le indicazioni da seguire per essere in regola con la nuova normativa europea.



PESCI

La lunghezza si calcola dal muso all’estremità della coda:
anguilla, 25 centimetri;
cefali, 20 cm;
ghiozzo “go” o giallo, 12 cm;
palamita, 25 cm;
passera, 15 cm;
pesce spada, 140 cm;
tonnetto o alletterato, 30 cm;
allunga, 40 cm;
spigola, 25 cm;
sparaglione, 12 cm;
sarago pizzuto, 18 cm;
sarago maggiore, 23 cm;
sarago testa nera, 18 cm;
acciuga, 9 cm;
cernia, 45 cm;
mormora, 20 cm;
nasello, 20 cm;
pagello mafrone, 17 cm;
occhialone, 33 cm;
orate, 20 cm;
fragolino, 15 cm;
sogliole, 20 cm;
triglie, 11 cm;
sardine, 11 cm;
sgombro, 18 cm;
pagro mediterraneo, 18 cm;
suri, 15 cm.

MOLLUSCHI BIVALVI
Si prende in considerazione il diametro o la lunghezza più grande:
cannolicchio, cannello o cappalunga, 8 cm;
cozza, 5 cm;
ostrica, 6 cm;
tartufo noce, 2,5 cm;
tellina, 2 cm;
cappasanta, 10 cm;
vongola, 25 mm.
CROSTACEI
Due i metodi per calcolare la lunghezza, una esclude le chele e l’altra invece prende in considerazione il carapace, ovvero la testa del crostaceo:
astici, 300 mm di lunghezza totale, 105 di lunghezza carapace;
scampo, 20 mm di lunghezza carapace, 70 mm di lunghezza totale;
aragosta, 90 mm di lunghezza carapace;
gambero rosa del Mediterraneo, 20 mm di lunghezza carapace.

GASTEROPODI
Si prende in considerazione il diametro più grande:
lumachina di mare, 2 cm.

ECHINODERMI
Riccio di mare, 7 centimetri, compresi gli aculei.

mercoledì 18 agosto 2010

Auto a metano: distributori anche nel proprio garage.

Per chi ha un' automobile a metano d'ora in poi sarà più semplice fare rifornimento. Un decreto legge, dà infatti la possibilità di installare dei piccoli distributori anche nel proprio garage. Il ministro Roberto Calderoli rilancia da Ponte di Legno la sua iniziativa, facendo notare che da circa due mesi, grazie a una nuova norma da poco approvata sull'esempio di un'analoga norma vigente in provincia di Bolzano, è possibile installare un impianto per la distribuzione del metano in casa.

Si tratta di una decreto convertito in legge in giugno ma che è passato inosservato, perché parte di un decreto molto più ampio: «Con la possibilità di fare metano nel proprio garage ci sarà - prevede Calderoli - un forte aumento della domanda di auto a metano, finora fortemente condizionata dalla sporadicità dei punti di distribuzione».

In Italia gli impianti di rifornimento casalingo vengono prodotti dalla Brc, un'impresa della provincia di Cuneo e che creerà circa 600 nuovi posti di lavoro. Il ministro per la semplificazione normativa ha anticipato anche che qualche azienda automobilistica potrebbe regalare questo impianto casalingo.
fonte :ilsole24ore

martedì 10 agosto 2010

OGM: ARRESTO FINO A TRE ANNI PER CHI LI COLTIVA IN ITALIA

In Italia e' vietato coltivare organismi geneticamente modificati (Ogm) e le trasgressioni sono punite con la pena dell'arresto da 6 mesi a tre anni o l'ammenda fino a 100 milioni di lire piu' la sanzione amministrativa da 15 a 90 milioni (D.Lgs. 24 aprile 2001 n.

212, in attuazione delle direttive 98/95/CE e 98/96/CE concernenti la commercializzazione dei prodotti sementieri, il catalogo comune delle varieta' delle specie di piante agricole e relativi controlli. E' quanto ricorda la Coldiretti in riferimento alla ''autodenuncia'' di semina di mais ogm avvenuta il 25 aprile scorso in Friuli dove sono stati distrutti i campi coltivati da parte dei movimenti no global.

''E' chiaro - sottolinea la Coldiretti - che l'illegalita' va condannata sempre anche quando come in questo caso, viene attuata per porre fine ad altra illegalita' ma bisogna anche prendere atto che non c'e' stata da parte delle Istituzioni la stessa tempestivita' avuta nel condannare il gesto dei no global, anche nel contrastare l'illegalita' originaria lasciando libere le piante di crescere con il rischio che la maturazione del mais e la conseguente disseminazione di polline possa provocare una contaminazione che avrebbe un impatto devastante sull'ambiente, sulla fauna selvatica, su altri ambiti agricoli e che non potrebbe essere limitato ai confini amministrativi dei comuni o della regione coinvolta, come ha fatto notare la task force di 27 organizzazioni per una Italia libera da Ogm.

La scelta di vietare la coltivazione di Ogm in Italia e' coerente con la stragrande maggioranza dei cittadini che - sottolinea la Coldiretti - e' contraria al biotech nei campi e nel piatti. Quasi tre italiani su quattro (72 per cento), in base all'ultima indagine annuale Coldiretti-Swg''.

''Le opinioni di italiani e europei sull'alimentazione, ritengono, infatti, che i prodotti alimentari contenenti organismi geneticamente modificati (Ogm) siano meno salutari rispetto a quelli tradizionali. Una scelta in linea - continua la Coldiretti - con le crescenti perplessita' sugli ogm in Europa dove, dopo il divieto posto anche in Germania, si sono ridotti a soli sei, su ventisette, i Paesi che coltivano organismi geneticamente modificati con peraltro un drastico crollo del 12 per cento delle semine nel 2009 che ha coinvolto tutti i paesi interessati (Spagna, Repubblica Ceca, Romania e Slovacchia), tranne la Polonia che ha mantenuto la stessa superficie coltivata, mentre solo per il Portogallo e' aumentata, secondo una analisi della Coldiretti sul rapporto annuale 2009 dell''International Service for the Acquisition of Agri-biotech Applications'''

giovedì 29 luglio 2010

referendum : Di Pietro consegna le firme per 3 referendum su legittimo impedimento, nucleare e privatizzazione dell'acqua.

Sono circa due milioni e trencentomila le firme raccolte da Italia dei valori e depositate oggi in 350 scatoloni in Corte di Cassazione, in calce ai quesiti referendari che chiedono l'abrogazione delle leggi del governo Berlusconi sul legittimo impedimento processuale, sulla ripresa di produzione in Italia di energia nucleare, sulla privatizzazione dei servizi di gestione dell'acqua. «Abbiamo ritenuto un nostro preciso dovere - scrive il leader dell'Idv, Antonio Di Pietro, sul suo blog - impegnarci per contrastare alcune nefandezze di questo governo: privatizzazione dell'acqua, legittimo impedimento, ritorno al nucleare. Abbiamo posto fiducia nella capacità del partito di rispondere positivamente a questo impegno. Abbiamo creduto nella risposta dei cittadini italiani». Gli scatolini sono arrivati su 5 furgoni, scortati da Di Pietro.

La maggior parte delle firme che l'Italia dei valori ha consegnato in Cassazione, circa 800mila, sono state raccolte per il quesito referendario che chiede l'abolizione del legittimo impedimento. Sono 750 mila quelle contro la privitizzazione dell'acqua e, poco meno (740 mila) quelle contro la legge delega sul nucleare.

Ora, una volta certificata la legittimità delle firme il superamento del quorum minimo per la consultazione, la Cassazione dovrà trasmettere gli atti alla Consulta per la validazione costituzionale dei quesiti proposti.

Un grande risultato, sottolinea Di Pietro, la raccolta di oltre 2 milioni e 200mila firme, «che evidenzia la nostra capacità operativa; la miglior risposta ai denigratori e ai corvi che in queste settimane hanno gettato schizzi di fango su di noi. Anche tra noi qualcuno si è disimpegnato, altri hanno remato contro; il partito farà un'attenta analisi dell'impegno profuso e adotterà gli opportuni provvedimenti».
fonte : ilsole24ore.com

lunedì 28 giugno 2010

caccia alle balene : DALL'IWC NESSUN ACCORDO PER PROTEGGERE LE BALENE


Si e' conclusa nei giorni scorsi ad Agadir in Marocco la 62esima riunione della Commissione baleniera internazionale (IWC), ancora una volta senza raggiungere alcun tipo di accordo per proteggere le balene: ''un'altra riunione fatta di sole chiacchiere, mentre il prossimo anno Giappone, Norvegia e Islanda continueranno a massacrarne impunemente migliaia di esemplari''. Lo denuncia Greenpeace.

''I governi riuniti ad Agadir dovrebbero vergognarsi - commenta Giorgia Monti, responsabile campagna Mare di Greenpeace Italia - di essersi ritirati a discutere a 'porte chiuse' per nascondere le loro discussioni sterili che non hanno permesso di fare nessun passo avanti nella protezione delle balene. Ma non possono certo nascondere la vergogna della caccia baleniera e della loro incapacita' per cercare di fermarla''.

''E' giunto il momento per tutti quei Governi che si schierano per la conservazione delle balene, come l'Italia , di mettere immediatamente in atto azioni politiche decise per porre fine alla falsa 'caccia per ragioni scientifiche' del Giappone nel Santuario dell'Oceano Antartico e la caccia della Norvegia e dell'Islanda, portata avanti in totale violazione della moratoria esistente''.

''Da oltre trent'anni - continua Monti - Greenpeace lotta in difesa delle balene. I nostri due attivisti - Junichi e Toru - rischiano piu' di un anno di carcere per aver denunciato la corruzione e il contrabbando di carne del programma giapponese di caccia alle balene. Cosa sono disposti a fare i paesi che dicono di voler proteggere le balene? Noi continueremo a lavorare per fermare questo vergognoso massacro!''.

mercoledì 23 giugno 2010

centrali nucleari in Italia : Respinti ricorsi delle Regioni "Infondati" per la Consulta


La Corte Costituzionale ha rigettato i ricorsi sollevati da dieci Regioni sulla legge delega del 2009 sul nucleare, dichiarandoli in parte infondati e in parte inammissibili. Respinte dunque le richieste di Lazio, Umbria, Basilicata, Toscana, Calabria, Marche, Molise, Puglia, Liguria e Emilia Romagna (il Piemonte aveva deciso di ritirare il suo), illustrate durante l'udienza pubblica di ieri mattina. Il deposito delle motivazioni della sentenza, che sarà redatta dal vicepresidente della Corte Ugo De Siervo, è atteso per le prossime settimane.

Cade così anche l'ultimo ostacolo di rilievo per il ripristino dell'atomo in Italia. Ora, il primo passo necessario ad avviare la fase di ritorno dell'Italia al nucleare sarà quello di scegliere i siti che ospiteranno le centrali. Operazione per la quale, secondo il governo, ci vorranno circa tre anni 1. L'European Pressurized Reactor (EPR) di tecnologia francese - quello che sbarcherà in Italia - richiede zone poco sismiche, in prossimità di grandi bacini d'acqua senza però il pericolo di inondazioni e, preferibilmente, la lontananza da zone densamente popolate.

Il decreto legislativo varato dal Consiglio dei ministri a dicembre indica una serie di parametri ambientali, fra cui popolazione e fattori socio-economici, qualità dell'aria, risorse idriche, fattori climatici, valore paesaggistico e architettonico-storico, importanti per la costruzionei della prossime centrali nucleari. Secondo il decreto, i siti che decideranno di ospitare le centrali potranno ottenere bonus sostanziosi, intorno ai 10 milioni di euro l'anno, destinati sia agli enti locali che ai residenti nelle zone in questione.

Fra i nomi dei siti possibili ritornano, al di là delle dichiarazioni contrarie di alcuni presidenti di Regione, quelli già scelti per i precedenti impianti, poi chiusi in seguito al referendum del 1987: Caorso, nel Piacentino, e Trino Vercellese (Vercelli), entrambi collocati nella Pianura Padana e quindi con basso rischio sismico e alta disponibilità di acqua di fiume.

Tra le scelte possibili anche Montalto di Castro, in provincia di Viterbo, che unisce alla scarsa sismicità la presenza dell'acqua di mare. Secondo altri, fra cui i Verdi e Legambiente, il quarto candidato ideale è Termoli, in provincia di Campobasso, mentre in altre circostanze si è fatto il nome di Porto Tolle, a Rovigo, dove c'è già una centrale a olio combustibile in processo di conversione a carbone pulito. Gli altri nomi che ricorrono più spesso sono Monfalcone (in provincia di Gorizia) Scanzano Jonico (Matera), Palma (Agrigento), Oristano e Chioggia (Venezia).

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martedì 22 giugno 2010

centrali nucleari in Italia : Il ritorno al nucleare è anticostituzionale ma anche il resto dell’energia…


Correva l’anno 1987, il giorno 8 del mese di novembre, quando gli italiani furono chiamati alle urne per decidere sulla questione dell’energia nucleare nel nostro Paese; con una schiacciante maggioranza (80%) vinsero i Sì e di centrali, siti di stoccaggio e scorie radioattive non si parlò più.

Dopo ventitre anni, la questione energetica è tornata ad essere uno dei cardini della politica energetica in tutta Europa e il governo Berlusconi ha prontamente annunciato e strombazzato il ritorno dell’Italia al nucleare.

Peccato, per Berlusconi e i suoi ministri, che ieri la Corte Costituzionale abbia bocciato una parte molto importante del decreto legge del 3 agosto 2009, che sanciva la riapertura delle centrali. È stato di fatto cancellato l’articolo 4, il cui testo enunciava l’importanza del ritorno al nucleare, spiegava che questo sarebbe stato realizzato facendo massiccio ricorso a capitali privati e che il governo avrebbe potuto nominare dei commissari straordinari – con poteri straordinari – per determinare l’ubicazione e la costruzione delle centrali e dei siti dove stoccare le scorie.

Proprio sul punto dei capitali privati si è pronunciata la Corte, considerando incostituzionale la legge perché reputa incompatibile l’urgenza della costruzione delle centrali nucleari con il ricorso ai capitali privati: “Trattandosi di iniziative di rilievo strategico, ogni motivo d’urgenza dovrebbe comportare l’assunzione diretta, da parte dello Stato, della realizzazione delle opere medesime”.

La questione era stata sollevata dalla Toscana, dall’Umbria, dall’Emilia Romagna e dalla provincia autonoma di Trento, secondo cui con questo decreto legge il governo scavalcava in modo illegittimo le loro competenze e, ieri, la Corte ha dato loro ragione: “Se le presunte ragioni dell’urgenza non sono tali da rendere certo che sia lo stesso Stato, per esigenze di esercizio unitario, a doversi occupare dell’esecuzione immediata delle opere, non c’è motivo di sottrarre alle Regioni la competenza nella realizzazione degli interventi. [...] I canoni di pertinenza e proporzionalità richiesti dalla giurisprudenza costituzionale al fine di riconoscere la legittimità di previsioni legislative che attraggano in capo allo Stato funzioni di competenza delle Regioni non sono stati, quindi, rispettati”

Oggi potrebbe arrivare un ulteriore colpo ai progetti di Berlusconi e dei suoi amici imprenditori, e potrebbe arrivare sempre dai giudici della Corte Costituzionale.

Verrà infatti reso noto e pubblicato il pronunciamento sul ricorso promosso da undici regioni, riguardante la mancata previsione della necessità di un’intesa con regioni ed enti locali sull’ubicazione delle centrali.

Che la questione energetica sia argomento drammaticamente serio è fuori discussione ma, nel caso specifico, è estremamente significativo il principio al quale si sono rifatti i magistrati della Corte Costituzionale; in caso di iniziative di rilievo strategico, il motivo di urgenza deve comportare l’assunzione diretta, da parte dello Stato, della realizzazione delle opere medesime.

Fuori dai giochi i privati, dunque, fuori dai giochi gli speculatori e diretta e chiara rivendicazione dei poteri allo Stato in una materia così delicata.

Nella giornata di ieri, è arrivata anche la notizia che la Regione Puglia impugnerà dinanzi al Tar del Lazio il decreto 209 del 2010 con il quale i ministeri dell’Ambiente e dei Beni culturali hanno espresso giudizio favorevole sulla compatibilità ambientale della proposta della Eni Power Spa, per la realizzazione di una centrale a ciclo combinato da 240 MWe nella raffineria Eni di Taranto.

L’assessore pugliese all’ambiente, Lorenzo Nicastro, spiega: “A nostro avviso, il decreto è stato emanato senza tenere in debita considerazione il parere negativo espresso dalla Regione Puglia sulla realizzazione di tale impianto in un’area, fortemente antropizzata, già compromessa da elevati livelli di inquinamento e per questo dichiarata, per legge, a grave rischio di crisi ambientale”.

“Tra l’altro – continua l’assessore – la proposta di Eni, pur contemplando alcuni interventi di miglioramento ambientale, quale ad esempio la conversione dell’attuale centrale ad olio con altra alimentata a gas naturale, prevede un aumento di produzione di energia elettrica superiore, di ben cinque volte, a quello attuale, il che, come è facilmente comprensibile, comporterebbe un sensibile aumento di emissioni di gas clima alteranti, in aperto contrasto con le previsioni del Piano energetico ambientale regionale, aspetto quest’ultimo non adeguatamente valutato nell’ambito dello studio di impatto ambientale”.

“Infine – conclude Nicastro – duole, ancora una volta, dover rilevare il mancato coinvolgimento partecipativo del nostro rappresentante regionale in seno alla commissione nazionale Via-Vas, benchè, allo stato, designato ed integrato dallo stesso ministero”.

Insomma, le regioni si sono mosse contro il governo e, finora, hanno avuto ragione anche se le notizie che giungono dal Ministero dello Sviluppo Economico sono tutt’altro che rassicuranti, e meno che mai nel momento in cui, nel Golfo del Messico, le dimensioni del disastroso incidente alla piattaforma Deepwater Horizon crescono inesorabilmente di giorno in giorno.

A Taranto, infatti, sono state autorizzate delle trivellazioni “esplorative” in Mar Grande da parte della Shell; l’Ufficio minerario idrocarburi geotermia del Ministero dello Sviluppo Economico ha concesso alla Shell Italia la ricerca petrolifera offshore nel Golfo di Taranto. Le zone interessate coprono un’area di 1.356 chilometri quadrati tra le coste pugliesi e quelle calabre.

Ad annunciarlo è stata la stessa compagnia petrolifera che attendeva una risposta dal novembre del 2009. “Con questa nuova opportunità – ha commentato Marco Brun, Country manager Shell in Italia – potremo ulteriormente espandere i nostri interessi esplorativi offshore nel Golfo di Taranto.”

Su questo specifico fronte la battaglia sarà durissima, considerato il fatto che la Royal Dutch Shell è una multinazionale operante nei settori petrolifero, dell’energia e della petrolchimica e insieme a BP, ExxonMobil e Total è uno dei quattro principali attori privati mondiali nel comparto del petrolio e del gas naturale.

Per comprendere di che azienda si tratta, basti pensare che, già nel 2004, i ricavi della Shell erano 268 miliardi di dollari e la rendevano la quarta più grande azienda del mondo per fatturato, mentre i profitti, pari a 18,18 miliardi di dollari, ne facevano la seconda impresa più redditizia del mondo in termini di profitto lordo.

Dalla provincia di Trento, dalla Toscana, dall’Umbria, dall’Emilia Romagna e poi giù fino alla Puglia, è appena cominciata una nuova sfida per dare al Paese un progetto di energia pulita e rinnovabile, ma è bene essere coscienti che gli speculatori, sostenuti dalle lobbies più potenti che si possano immaginare, sono già all’opera.
FONTE: gliitaliani.it AUTORE Marco Stefano Vitiello

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venerdì 18 giugno 2010

pesticidi : Troppi pesticidi nel piatto E ricompare il Ddt


Secondo il rapporto annuale di Legambiente l'1,5% di frutta, verdura e derivati che finisce sulle nostre tavole è contaminato oltre il livello di sicurezza. Tra fitofarmaci e anticrittogamici, cresce la presenza dei "multi residuo"

Frutta e verdura fanno bene e bisogna mangiarne cinque porzioni al giorno. E' il ritornello che medici e nutrizionisti ripetono ossessivamente. Ma chi non possiede un orto tutto suo come può essere certo di non mangiare "veleni"? Nel rapporto annuale "Pesticidi nel piatto", Legambiente riconosce gli sforzi fatti dal nostro Paese per un uso sostenibile dei fitofarmaci ma evidenzia, rispetto allo scorso anno, una maggiore presenza di campioni "multi residuo" (3 per cento in più rispetto al 2009), quelli nei quali sono contenuti contemporaneamente più residui chimici diversi.

Verdura più inquinata. Secondo l'associazione ambientalista, che ha raccolto e confrontato dati provenienti da Arpa, Asl e laboratori zooprofilattici regionali, a fronte di una lieve diminuzione dei campioni analizzati (8.560 contro gli 8.764 del 2009), la percentuale delle irregolarità si mantiene pressoché stabile e pari all'1,5% (era 1,2% nel 2008). Per la prima volta rispetto a quanto visto in passato, è la verdura a presentare le maggiori criticità, con l'1,3% dei campioni fuorilegge contro lo 0,8% del 2009. Gli ortaggi superano anche la percentuale dei campioni irregolari riscontrati nella frutta che sono l'1,2%, dato in miglioramento rispetto allo scorso anno quando erano pari al 2,3%.

Campioni "multi residuo". Per la verdura, i dati sui residui multipli sono raddoppiati rispetto allo scorso anno, passando dal 3,5% del 2008 al 6,5% del 2009. Ma stavolta è la frutta a presentare una percentuale più alta (26,4%). Il 45% delle pere, il 43,8% dei campioni di uva, il 40,9% delle fragole contengono scorie di sostanze chimiche diverse, mentre gli agrumi, i piccoli frutti e l'uva sono da segnalare anche per la più alta concentrazione di irregolarità riscontrate.

Pane e vino. Segnano un aumento anche le irregolarità e i campioni multi residuo nella categoria dei prodotti derivati. Su un totale di 1435 campioni di prodotti derivati, il 2,7% risulta irregolare (era pari a zero lo scorso anno) e ben il 9,3% (+2,8% rispetto al 2008) presenta più residui. In particolare vino e pane sono i prodotti che presentano le principali irregolarità: rispettivamente dell'1,9% e dell'8,8%. Invece, miele e vino presentano il maggior numero di residui.

Campioni da record. Anche quest'anno non sono mancati i cosiddetti campioni da record, prodotti considerati in regola ma che presentano contemporaneamente più sostanze chimiche i cui effetti sinergici sulla salute dell'uomo e sull'ambiente sono ancora da verificare. Tra i casi più eclatanti, un campione d'uva bianca analizzato in Sicilia contenente 9 diversi residui di pesticidi, uno di pere campane che ne aveva 5 e uno di vino proveniente dal Friuli Venezia Giulia con 6 diversi residui. Le regioni dove è stato analizzato un maggior numero di campioni sono anche quelle in cui è stato riscontrato il più alto numero di irregolarità. Ad esempio, in Emilia Romagna, su un campione di 1667 alimenti, 30 sono risultati fuorilegge. Il Piemonte ha esaminato 406 campioni di cui solo sette irregolari ma di questi ben cinque sono rappresentati dal pane. In Friuli Venezia Giulia su 269 alimenti risulta un'unica irregolarità riguardante i funghi, ma ciò che colpisce è la presenza di un campione di insalata contaminato da tracce di Ddt, bandito in Italia dal 1978, mentre tre campioni di vino sono risultati contaminati da Procimidone, un fungicida considerato potenzialmente cancerogeno secondo l'Epa, l'agenzia di protezione ambientale degli Stati Uniti, ma non nell'Unione Europea. Da segnalare, poi, che fino al 30 aprile 2011 alcuni prodotti a base di Rotenone, un insetticida bandito dall'Ue, sono consentiti per l'impiego sulle colture di mela, pera, pesca, ciliegia vite e patata.

Carne e latte. Quest'anno, anche gli Istituti zooprofilattici sperimentali (IZS) hanno sostenuto Legambiente nell'indagine considerando anche gli alimenti di origine animale. Sono risultati irregolari alcuni campioni di carni di coniglio e tacchino e di latte vaccino e ovino per la presenza di diossine.

Legambiente. "La strada da percorrere per raggiungere un uso sostenibile dei fitofarmaci è ancora molto lunga - afferma Vittorio Cogliati Dezza, presidente nazionale di Legambiente. Permane infatti il problema del cosiddetto multi residuo cioè, l'effetto sinergico dovuto alla presenza contemporanea di differenti principi attivi sul medesimo prodotto, e quello della rintracciabilità di pesticidi revocati oltre il termine fissato per lo smaltimento delle scorte". Non esiste infatti un riferimento specifico nella normativa che stabilisca per i laboratori un termine temporale oltre il quale tracce, anche al di sotto del limite consentito di pesticidi revocati, come il Ddt, siano da indicare come irregolari.

Api e pesticidi, un caso emblematico. Secondo l'ultimo rapporto 'Segnali ambientali 2010' dell'Agenzia europea dell'Ambiente, nel corso degli ultimi vent'anni, le farfalle in Europa sono diminuite del 60%, mentre diverse specie di api selvatiche si sono già estinte e, nel resto del mondo, si sono decimate a causa di pesticidi, acari e malattie. Questo verdetto conclude una lunga disputa iniziata nel 1991, quando i fitofarmaci contenenti le molecole neonicotinoidi sono stati introdotti in Francia e sono stati osservati i primi effetti negativi. Per la moria di api del 2006 in Piemonte - si ricorda nel rapporto di Legambiente - il principale accusato è il Tiamethoxam, usato contro la flavescenza dorata sulla vite. La molecola è stata dichiarata "non ecotossica" dalla Syngenta, che produce un fitofarmaco che la contiene, ma secondo gli apicoltori dell'associazione nazionale Unaapi, è "assai pericolosa per l'ambiente".

"La minaccia non riguarda solo la possibilità di approvvigionarsi dei 400 grammi annuali di miele che l'italiano medio consuma ogni anno - spiega il presidente di Unaapi Francesco Panella - ma l'agricoltura nel suo complesso che dipende per un terzo da coltivazioni impollinate grazie al lavoro gratuito delle api". Secondo la Coldiretti, in Italia sono a rischio circa 50 miliardi di api in oltre un milione di alveari. Una strage che mette in pericolo il processo di impollinazione minacciando un budget da due miliardi e mezzo di euro l'anno. Tra i prodotti a rischio: mele, pere, mandorle, agrumi, pesche, kiwi, ciliegie, albicocche, meloni, zucchine, girasole, colza.
fonte: www.repubblica.it

lunedì 3 maggio 2010

ACQUA: COMITATO REFERENDUM, GIA' SUPERATE LE 250 MILA FIRME


Dopo soli nove giorni di raccolta firme, iniziata il 24 aprile scorso, il Comitato Promotore per i tre Referendum per l'acqua pubblica comunica di aver superato le 250mila firme, raccolte per ciascuno dei tre quesiti proposti. ''Siamo a meta' delle firme necessarie, a un terzo dell'obbiettivo che il Comitato si era dato per la fine della raccolta - si sottolinea dal quartier generale del Comitato - La velocita' di raccolta firme e' straordinaria e da tutti i territori, anche dai piu' periferici, arrivano dati eccezionali''. Tra le regioni in largo anticipo sulla tabella di marcia ci sono il Lazio (32mila firme), la Puglia (oltre 30mila firme), la Calabria (10mila). In Abruzzo sono state raccolte piu' di settemila firme, quattromila solo negli ultimi due giorni.

sabato 24 aprile 2010

ACQUA: AL VIA RACCOLTA FIRME REFERENDUM CONTRO PRIVATIZZAZIONE


Il Forum Movimento per l'acqua inizia in Italia la raccolta delle firme per il referendum contro la privatizzazione.

''Oggi e domani - spiega il presidente del Forum Ambientalista, Ciro Pesacane - saremo con i nostri banchetti in tutte le piazze d'Italia per l'inizio della campagna referendaria, sono certo che arriveremo in breve tempo alle 700mila firme necessarie''.

''L'acqua - prosegue Pesacane - e' un bene pubblico che non puo' e non deve essere assoggettato a logiche di profitto, logiche che tra l'altro portano solo danno economico ai cittadini che pagheranno di tasca propria il decreto Ronchi''.

Anche Legambiente aderisce al comitato guidato dal Forum italiano dei movimenti per l'acqua.

L'obiettivo, spiega l'associazione, ''e' ambizioso: scongiurare la corsa all'oro blu come prevede il Decreto Ronchi, che ha reso obbligatoria la dismissione delle quote pubbliche nelle societa' di gestione di risorse pubbliche, e garantire invece l'accesso ad un bene che e' di tutti, e non una merce da cui trarre profitto''.

''L'acqua non e' un servizio pubblico qualsiasi, non puo' essere gestita con la logica del profitto, e' un bene comune indispensabile alla nostra sopravvivenza, da garantire a tutti, sempre e comunque - afferma Cristiana Avenali, direttrice di Legambiente Lazio-. Per questo Legambiente promuove con forza la raccolta firme e per tre mesi chiede a tutti i cittadini di diventare difensori del bene comune. A Roma, il Sindaco Alemanno non puo' assolutamente procedere alla privatizzazione di Acea, svendendo il futuro dell'acqua e dei suoi cittadini, un'azienda che serve il territorio della Capitale e del Lazio Centrale con circa 3,5 milioni abitanti e un totale di 500mila utenze''.

venerdì 23 aprile 2010

ACQUA: WWF, RACCOLTA FIRME PER REFERENDUM E CENSIMENTO FIUMI

Inizia domani la raccolta firme dei tre requisiti per il referendum sull'acqua, promosso dal Forum Italiano dei Movimenti per l'acqua a cui anche il Wwf Italia aderisce, insieme a un centinaio di sigle.

''L'acqua dev'essere considerata come un bene comune e dev'essere sottratta dai processi speculativi''. Le nuove norme che prevedono la gestione dei servizi pubblici, e tra questi la gestione dei servizi idrici, impongono di dismettere entro il 31 dicembre del 2011 ogni tipo di gestione pubblica.

Il Wwf non e' contro la partecipazione dei privati nella gestione dei servizi pubblici, criticita' nella gestione si sono riscontrate anche quando la gestione era affidata al pubblico. Ma qui e' stata superata la misura.

La battaglia per restituire all'acqua la certezza di essere pubblica assume oggi un valore piu' che simbolico e impone una riflessione sull'attuale tendenza a privatizzare tutti i servizi.

Il Wwf ritiene estremamente pericoloso rimettere la possibilita' di erogare un servizio pubblico solo se esiste la possibilita' di trarre da questo guadagno.

Il Wwf, assieme al ''Forum dell'Acqua'' e con l'adesione di 400.000 cittadini, ha presentato una proposta di legge che rivede il modello di gestione della risorsa acqua. Il Parlamento l'ha bloccata. A questo punto non rimane che la via del referendum.

Questo impone una visione d'insieme e la possibilita' d'intervento su ogni fase del ciclo e della gestione dell'acqua che solo la Pubblica Amministrazione puo' e deve avere.

Questo deve essere il punto di partenza per ridiscutere della gestione della risorsa idrica che non puo' che passare dalla tutela e dal ripristino degli ecosistemi acquatici.

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